Il Myanmar devastato da Nargis spera nell’aiuto internazionale, ma la giunta militare al potere continua a osatcolare l’arrivo di personale e materiali umanitari. Il segretario generale dell’Onu Ban Ki-Moon ha lanciato un appello ai militari perché aprano le porte ai soccorritori. Il bilancio delle vittime è fermo a circa 22.500, cifra fornita dal governo, ma l’Onu ha detto che il bilancio potrebbe aumentare in misura molto significativa. Fonti statunitensi parlano di 100.000 morti. Ci sono oltre 40.000 dispersi, quasi per la metà bambini, per la cui vita si nutrono poche speranze, e un milione di persone è senza casa. Nella zona del delta del fiume Irrawaddy, la zona più colpita dal ciclone e soprattutto dalla “storm surge”, l’onda alta fino a tre metri e mezzo alzata dal vento, più 5.000 kmq sono ancora sott’acqua.
Il direttore per la Birmania di “Save the Children”, ha detto “ci sono 41.000 dispersi, ma in tanti pensano che la maggior parte di queste persone siano morte”. Kirkwood ha aggiunto che la sua organizzazione ha raccolto informazioni terribili riguardo il delta dell’Irrawaddy, dichiarando “una équipe ha visto migliaia di morti in una località con mucchi di corpi in decomposizione dopo il ritiro delle acque”. A sud di Rangoon, la ex capitale ribattezzata Yangon dai militari, che hanno anche cambiato il nome Birmania in Myanmar, secondo Medici senza Frontiere le zone di Daala e di Twantey, che hanno quasi 300.000 abitanti, sono distrutte per più dell’80% e certi posti sono inondati da un metro di acqua. In un comunicato a Ginevra, Msf ha detto che in queste zone la popolazione si è radunata spontaneamente attorno ai monasteri (i bonzi buddisti si sono da subito prodigati nei soccorsi, nella latitanza delle forze di sicurezza) e alle scuole, senza cibo né acqua potabile.
In questa situazione da incubo, i militari frappongono ostacoli all’arrivo dei soccorsi internazionali, nell’ossessione di impedire ogni possibile smagliatura nel controllo ferreo che esercitano da decenni sul paese. La giunta ha detto che accoglierà gli aiuti, ma ha imposto di negoziare volta per volta per ottenere i visti di ingresso nel Paese. A questo scopo, ha reso noto oggi l’Onu, è stato designato un ministro per i visti, ma ancora non è stato accordato nessun nuovo permesso. Medici senza Frontiere ha denunciato che una sua squadra attende da 48 ore di poter recarsi nella zona del delta.