In questi giorni ci si ritrova a commentare dei modelli che lasciano intravedere un periodo di tempo relativamente mite e soleggiato, con il vero inverno che, per ora, è rimasto ben lontano dalle nostre latitudini. E osservando le proiezioni a lungo termine pare che la fase di stasi atmosferica sia destinata ad accompagnarci per diversi giorni.
Pur sapendo che la situazione sarà destinata a subire dei cambiamenti, spesso ci si affanna alla ricerca di spiegazioni le cui uniche conclusioni portano ad un solo punto di arrivo. Ossia la paura che la stagione fredda per antonomasia abbia ancora una volta deciso per un’avarizia di soddisfazioni. Certo ci potremo spingere in discorsi retorici, ma prima di poter affermare che la stagione volge al compimento dovremo un attimo fermarci a riflettere o perlomeno rimembrare situazioni che si verificarono nel passato.
E non si parla di grandi inverni storici (episodi che poco avrebbero a che fare con una spiegazione sensata delle cosiddette “secche invernali”) ma semplicemente di stagioni nelle quali i periodi stabili e relativamente miti erano “la norma” nel primo mese dell’anno nuovo. Se solo si avesse il tempo, la voglia e la passione di ripercorrere a ritroso i modelli di previsione, si potrebbe facilmente notare come i promontori anticiclonici fossero un qualcosa che quasi automaticamente rientrava nel normale decorso del mese di gennaio.
Si potrebbe obbiettare che allora i tempi erano ben altri. Così come affermare che gli inverni di oggi non sono più quelli di una volta. Ma sappiamo benissimo che la storia non si ripete mai nelle stesse modalità. Cosi stiamo pur certi che se si dovesse verificare un episodio tale da rientrare un giorno in quelli definibili storici, le modalità col quale si verificherebbe non sarebbero le stesse con le quali si verificarono altri eventi rimasti negli annali della meteorologia.
Ed allora ecco che potrebbe parzialmente spiegarsi il perché, anche in una situazione di calma e stabilità atmosferica come quella che ci accompagnerà nei prossimi giorni, l’anomalia rientri semplicemente in una normalità che nel passato andò a costituire quelle che in ogni manuale di meteorologia o climatologia sono note come “secche invernali”.
È difficile prescindere dalle configurazioni bariche che le determinano ma se il concetto di “storia” visto pocanzi ha un suo valore, che si verifichino fenomeni di forti inversioni termiche o no non stravolgono la sostanza del concetto base. Sicuramente servirebbe un editoriale a parte per spiegare tutte le possibili cause che determinano sostanziali differenze col passato (anche quando le condizioni bariche sono simili) ma a tal punto bisognerebbe chiedersi il come e il perché determinati climi locali abbiano subito tali e tanti piccoli mutamenti da far sembrare eventi comuni e statisticamente frequenti, come diversi da quelli del passato.
Il fondamentale concetto de “la storia non si ripete” è ben applicabile nel campo meteorologico. Le tante piccole sottigliezze che rendono una stessa configurazione dagli effetti totalmente diversi rimangono sottintese nel concetto di passato. Essendo il tempo un elemento in continua evoluzione quel che presenta la storia non si ripresenterà mai con le stesse conseguenze. Ma non per questo ci si dovrà stupire se, anche nelle prossime stagioni invernali, avremo a che fare con periodi di stasi e immobilità atmosferica. Tutto ciò farà parte di quel che la storia racchiude in se ma che il futuro riproporrà in modalità e forme anche diametralmente opposte.