Se si escludono i batteri chemiotrofi che vivono nelle oscurità abissali e i movimenti terrestri derivanti dalla tettonica a zolle, praticamente ogni cosa sulla Terra dipende dal Sole. L’energia assorbita dall’atmosfera dà origine ai moti che regolano il clima e al ciclo idrologico; le piante convertono la luce solare tramite la fotosintesi clorofilliana; perfino i combustibili fossili che bruciamo si possono vedere come una forma di energia solare immagazzinata da organismi viventi durante milioni di anni.
Le vele sulle imbarcazioni sono state il primo esempio di sfruttamento di energia rinnovabile – ed è curioso come oggi si stia tornando verso questo utilizzo per risparmiare combustibile – mentre le ruote idrauliche e i mulini a vento sono arrivati molto dopo. Le turbine eoliche e le celle fotovoltaiche sono oggi fra le migliori promesse per soddisfare il fabbisogno energetico, anche se rimangono scetticismi sulla loro potenzialità.
La quantità di energia che la Terra riceve dal Sole è davvero enorme: la costante solare – che in realtà è leggermente variabile – valutata su di un piano esternamente all’atmosfera terrestre vale circa 1370 W/m^2, ma solo una frazione di essa si rende disponibile al suolo. Il movimento di rotazione del nostro pianeta comporta che il flusso medio giornaliero sia un quarto di quello riportato; poi si deve tener conto dell’albedo (la frazione di radiazione riflessa) e infine dell’assorbimento atmosferico. Alla fine quello che rimane sono circa 170 W/m^2, ovvero circa 1500 kWh/m^2 nel corso di un anno.
Il consumo istantaneo mondiale è pari a 15 TW, e un semplice calcolo mostra che sarebbe sufficiente l’energia che cade su un quadrato di 300 km di lato per soddisfare mediamente le attuali necessità, una frazione pari ad appena lo 0.02% della superficie terrestre oppure lo 0.06% delle terre emerse. Però è necessario svolgere un’analisi più accurata per avere dei valori realistici.
La conversione di energia da una forma ad un’altra comporta sempre delle perdite: nel caso dei sistemi fotovoltaici o solari a concentrazione – che forniscono energia elettrica – possiamo prendere come valore di riferimento per il rendimento il 10%, che vuol dire decuplicare l’estensione calcolata in precedenza; si deve prevedere un impegno al suolo superiore di circa 2 volte rispetto a quello teorico per evitare la proiezione di ombre e al fine di permettere la manutenzione; e se poi vogliamo immagazzinare una parte di questa energia per quando il Sole non brilla vanno aggiunte le perdite in un sistema di accumulo, di qualunque tipo sia.
Alla fine la superficie necessaria risulterebbe vicina ai 2 milioni di chilometri quadrati, un quadrato di 1400 km di lato; questo valore può essere diminuito in funzione del rendimento ottenibile in futuro, ma non ci si deve fare ingannare da notizie ad effetto.
In Italia si stima esistano circa 16000 km^2 di terreni aridi o improduttivi; ipotizziamo che per questioni di impatto ambientale e di comodità costruttiva sia ragionevole sfruttarne circa 5000 (meno di un terzo), e che la potenza effettiva sia di 6 W/m^2 con una approssimazione molto cautelativa. Ne consegue che sarebbero installabili circa 30 GW effettivi, un valore di tutto rispetto pensando che il consumo massimo registrato di elettricità in Italia si aggira sui 56 GW e che nel calcolo mancano i contributi derivanti dalle altre forme di energia rinnovabile: eolico, idroelettrico e impianti a biomasse. Per queste le stime sono più complicate; tuttavia la loro importanza è e rimarrà in futuro notevole nell’ottica di una differenziazione che permetta una effettiva continuità di fornitura.
Esperimenti su piccola scala in Germania hanno dimostrato che è possibile svincolarsi totalmente dall’uso di combustibili fossili: si tratta ora di impegnarsi nella ricerca e ridurre gli sprechi della nostra civiltà consumistica.