Lo studio in oggetto indica come in molte zone oceaniche la temperatura rilevata dagli strumenti sia superiore di 1°C rispetto alle precedenti elaborazioni modellistiche. Per la rilevazioni dei dati è stata utilizzata un’apposita apparecchiatura, l’RU-29 Challenger provvista di sensori per la temperatura dell’acqua e la salinità.
Si tratta di un piccolo sottomarino lungo quasi due metri sagomato a forma di siluro e in grado di muoversi senza propulsione. Le traiettorie paraboliche eseguite dal mezzo gli consentono di raggiungere una profondità di 1000 metri otto volte al giorno, in modo da poter rilevare tra i 300 e i 700 metri di profondità.
Il progetto è stato realizzato in collaborazione tra le Università di Rutgers (New Jersey, USA) e Las Palmas de Gran Canaria (ULPGC). Il dispositivo fu lanciato il 18 gennaio 2013 a Città del Capo e dopo 478 giorni è giunto presso Ubatuba (Brasile), dopo un viaggio di 10400 chilometri. Secondo i ricercatori, l’importanza di uno studio di questo tipo risiede nella comprensione dell’importanza dell’Atlantico nello svolgere il ruolo di termostato dell’atmosfera terrestre. L’Oceano assorbe il calore in eccesso presente in atmosfera aiutando a mitigare gli eccessi termici.
Il fatto che l’aumento della temperatura sia stato registrato su gran parte del tragitto percorso indica che i modelli realizzati finora hanno sottovalutato il processo di riscaldamento. I cambiamenti di temperatura non sono nuovi, è risaputo, e sono sempre avvenuti. Ma nel caso specifico gli studiosi hanno sottolineato come il tasso di riscaldamento rappresenti un problema di non poco conto, capace di ripercuotersi sul clima del pianeta. L’Atlantico è in grado di assorbire il calore molto velocemente, ma è molto più lento nei processi di trasferimento. Ciò significa che eventuali, significativi cambiamenti climatici potrebbero manifestarsi nel lungo periodo.