Nell’immagine (di Giovanni Staiano) Cardoso come appariva il 29 giugno 1996, 10 giorni dopo l’alluvione. La grandissima difficoltà nelle comunicazioni con i paesini dell’alta Versilia, a tragedia compiuta, appare evidente sfogliando “La Nazione” del 20 giugno 1996. Il giornale dedicò un articolo in prima pagina e tutta la seconda e la terza all’alluvione, ma non fece alcun riferimento specifico alla tragedia che si era compiuta a Cardoso, al fatto insomma che il paese praticamente non esisteva più. Scriveva il quotidiano fiorentino “Tragico il bilancio, ancora parziale: i morti sono 7, ma il numero potrebbe aumentare perché alcune frazioni sono ancora isolate e non si è potuto accertare se ci sono dispersi”.
Ponte Stazzemese, dove c’è la sede municipale di Stazzema, era una sorta di “fine del mondo”. Non che fosse semplice arrivarci. La strada lungo il Vezza era interrotta, meglio sarebbe dire “mangiata” letteralmente dalla piena, in più punti. Il Genio si mise subito all’opera per realizzare un Ponte Bailey poco a monte di Seravezza, mentre poco più a valle della cittadina l’ancora di salvezza per poter entrare in valle fu una strada secondaria che entra in un piccolo nucleo abitato, rialzata rispetto a quella principale lungofiume, che richiese mesi per essere rifatta.
Allo stesso modo, risalendo la valle, subito dopo il bivio per Castelnuovo Garfagnana, la strada non c’era più per un lungo tratto e per molto tempo l’accesso a Ponte Stazzemese e a tutte le frazioni soprastanti avvenne grazie a una provvidenziale bretellina che dalla località Risvolta, già un centinaio di metri più in alto della valle, scende al centro del paese.
Il video del momento in cui Ponte Stazzemese viene raggiunto dall’onda di piena, che, nel fuggi fuggi generale, porta via come fuscelli le auto parcheggiate davanti al Municipio e tira giù un’ala dell’Albergo la Pania, fece il giro di tutti i telegiornali e divenne un simbolo dell’alluvione.
Oltre Ponte Stazzemese si entrava ancor più nel dramma, da una parte salendo ripidamente verso Mulina, poi, dopo ulteriore biforcazione, verso Pomezzana o Stazzema, dall’altra continuando lungo il fondovalle verso Cardoso, ma quest’ultima possibilità la mattina del 20 giugno era ancora del tutto preclusa.
I giornali riempirono le pagine di cronaca con le prime testimonianze da Pomezzana e da Fornovolasco. A Pomezzana (230 abitanti), colpita dal primo grosso nubifragio già alle 5 del mattino, non vi furono vittime ma solo qualche ferito. La strada d’accesso al paese franò in più punti, ma la frana più grande scese dal crinale sopra il paese sul versante opposto allo stesso, distruggendo il bosco per centinaia di metri, abbattendosi nel vallone sottostante, proprio dove il tronco di strada che sale a Stazzema fa un tornante. L’onda d’urto fu tale che la massa di terra , roccia e materiale organico risalì per circa 80 metri sul versante opposto. Ancora alla fine di luglio, quando per la prima volta ripercorsi quella strada, si transitava in una sorta di cunicolo, con la strada liberata dalle ruspe affiancata sui due lati da muri di terra alti diversi metri.
Un’altra immagine di Cardoso. Fornovolasco, il paese più colpito sul versante garfagnino, è piuttosto conosciuto perché nei pressi si trova la Grotta del Vento, una delle tante manifestazioni del carsismo apuano, ma una delle poche accessibili al grande pubblico, essendovi stati aperti da tempo dei percorsi turistici. A Fornovolasco ci fu una vittima, una anziana signora travolta dalla valanga di acqua, fango e pietre nella sua casa. Dal Monte Forato, che sta a ovest del paese, ma soprattutto dalla Pania Secca e da quella della Croce, che lo dominano a nord e nordovest, insieme all’acqua vennero giù infatti migliaia di metri cubi di roccia e terra. Le enormi “rigate” create dalle frane sul versante sud della Pania della Croce, quello che guarda maestoso verso la piana, rimasero evidentissime per anni a indicare quale sconvolgimento fosse avvenuto in quella zona e tuttora, malgrado sia ricresciuta l’erba, il tenacissimo paleo apuano, sono ancora riconoscibili a chi ricorda come il versante si presentava prima del 19 giugno 1996.
Anche dal Forato arrivò di tutto, scendendo verso il paese lungo i torrenti Tinello e Chiesaccia. Lungo il primo, poco a monte del paese, si trova l’omonimo ristorante, dove avevo passato una piacevole domenica pochi mesi prima, ai primi di marzo, in mezzo alla neve. Vi tornai, in autunno, quando raggiungere Fornovolasco era ancora un’impresa, con la strada di fondovalle non ancora riaperta. Arrivammo al paese con il lunghissimo percorso che passa da Vergemoli, ma al momento di venire via i proprietari del “Tinello” ci consigliarono di fare la strada di fondovalle, che era in fase di ricostruzione. Ci dissero “Non è ancora collaudata ma potete passare, specie di domenica che il cantiere è chiuso”. Non fu una buona idea: il percorso era a tratti sterrato, senza protezioni e oltretutto mentre passavamo si mise a piovere.
Prima, a fine pranzo, la proprietaria mi aveva fatto vedere le foto di quello che c’era davanti e dentro al locale, in parte distrutto, dopo l’alluvione: metri di pietre, alcune enormi! Ho ancora nelle orecchie il suo racconto angosciato di quel giorno, con il locale aperto all’ora di pranzo, l’acqua che cade violenta, sempre più forte, i boati delle frane che iniziano a rimbombare, fino alla decisione (provvidenziale) di fuggire, di andare in alto, su un poggio, sotto il diluvio, senza sapere cosa si troverà quando si tornerà giù.
Altra immagine simbolo dell’alluvione quella del Lago di Trombacco, il bacino artificiale dell’Enel che sbarra il corso della Turrite pochi chilometri a valle di Fornovolasco. Nel giro di un’ora e mezzo il livello delle acque nel lago, per fortuna quasi vuoto a inizio evento, salì di quasi 6 metri; la superficie dell’invaso fu trasformata in una specie di sabbie mobili, con ogni sorta di oggetti a coprirne quasi completamente la superficie, dai tronchi degli alberi divelti a ogni genere di elettrodomestici e persino a un serbatoio di GPL.
Quell’invaso ha probabilmente evitato danni gravissimi al grosso centro di Gallicano, il paese di 4.000 abitanti che si trova alla foce della Turrite, dove cioè il torrente confluisce nel Serchio. La diga, pur tracimando per alcune ore, ha retto la tremenda onda d’urto della piena che, se l’invaso non fosse stato vuoto, si sarebbe abbattuta su Gallicano, con effetti sicuramente distruttivi, visto che già così il torrente si è alzato paurosamente, ha distrutto allevamenti di trote, invaso numerose cantine e sollevato come un fuscello un ponte di legno che l’anno prima era stato inaugurato all’ingresso di Gallicano.
Andò bene anche ai turisti che quella mattina erano in visita alla Grotta del Vento, una ventina di persone, molte di cittadinanza tedesca e olandese. Rimasti bloccati all’uscita della Grotta hanno visto il piazzale dove avevano parcheggiato le auto gonfiarsi come per un’onda che salisse dal basso e portar via le macchine stesse e persino un camion. Sono stati poi recuperati con gli elicotteri solo nel tardo pomeriggio di quel maledetto 19 giugno.
La prima colonna di soccorsi “via terra” giunse a Fornovolasco alle 5 del 20 giugno. Distrutta la strada di fondovalle (come detto ci vollero molti mesi a riattivarla), impraticabile per le frane anche il lungo percorso che arriva in paese da Vergemoli, che diventò poi la via d’accesso normale fino alla riapertura della strada da Gallicano, la colonna si mise in marcia all’1, preceduta da una ruspa, da Fabbriche di Vallico, salendo per la strada allora non asfaltata che valica il crinale a San Pellegrinetto (quasi 1000 metri) per poi scendere per 500 metri fino al centro abitato. A mezzogiorno Fornovolasco era evacuato quasi completamente, dove il “quasi” significa che rimasero il parroco, i titolari del ristoranti “La Buca” (nel centro del paese) e “Il Rondone” (presso la Grotta) e quattro anziani.
Abbiamo citato gli elicotteri. Furono fondamentali in quella emergenza, unici mezzi capaci di entrare in quelle valli strette e devastate da acqua e frane. Portarono fuori dalla zona sinistrata centinaia di persone, al contrario trasferendovi personale operativo, sanitario e volontari, nonché viveri, medicinali ed attrezzature. Fecero la spola continuamente per giorni e giorni, solo a tratti dovendosi fermare per condizioni meteo avverse (il tempo rimase tra il variabile e il perturbato per diversi giorni dopo il 19), tanto che il loro ronzare divenne una sorta di colonna sonora nei cieli della costa versiliese. Operarono ben 21 elicotteri appartenenti ai Vigili del Fuoco, Forze Armate (Esercito e Marina Militare), Guardia Forestale, Polizia, Carabinieri, Guardia di Finanza, Dipartimento della Protezione Civile e regione Toscana, che eseguirono fino ad oltre 200 missioni giornaliere coordinate dal COM di Seravezza.
Anche gli abitanti di Cardoso furono evacuati con gli elicotteri, che li scendevano ad uno ad uno al campo sportivo “Buon Riposo” di Querceta, dove si intrecciarono le storie umane di tante famiglie, con i parenti che abitavano a valle, o erano comunque giù per lavoro o altri motivi al momento della tragedia, che col cuore colmo d’angoscia seguivano la spola dei velivoli aspettando di vedere scendere i loro cari, e ascoltando i racconti dei superstiti che parlavano dei morti e delle case distrutte.
I piccoli borghi di Volegno e Pruno si trovano un paio di centinaia di metri più in alto di Cardoso, da cui passa l’unica strada che li collega al resto del mondo. I due paesi non ebbero danni gravi, una grossa frana li separò l’uno dall’altro ma senza investire abitazioni, tuttavia dovettero essere anch’essi evacuati appunto per l’impossibilità di raggiungerli.
Da Volegno l’abitato di Cardoso è visibile, giù in basso, e una delle testimonianze più tremende del disastro fu infatti quello in diretta, con il “baracchino”, della giovane figlia del titolare del ristorante “Monteforato” che dalla sua casa assistette, potendo osservare tutta la scena, al momento in cui la marea di acqua e sassi travolse il paese, portandovi distruzione totale. Si salvò solo la chiesa, con le poche case che le stavano intorno, appena più in alto rispetto al greto del torrente, anzi dei torrenti, perché proprio a Cardoso si uniscono, nella parte alta, il Canale Versiglia e quello della Capriola, poi, appena a valle della chiesa, nel così neonato Vezza si getta anche il canale Deglio. Le confluenze dei torrenti amplificarono il già tremendo impatto delle “bombe” che scesero sul paese quando cedettero i bacini effimeri che si erano creati lungo i canali, più a monte, per l’ effetto diga soprattutto dovuto ai tronchi degli alberi portati via dalle frane.
Prosegue…
Pubblicato da Giovanni Staiano
Nell’immagine (di Giovanni Staiano) Cardoso come appariva il 29 giugno 1996, 10 giorni dopo l’alluvione. La grandissima difficoltà nelle comunicazioni con i paesini dell’alta Versilia, a tragedia compiuta, appare evidente sfogliando “La Nazione” del 20 giugno 1996. Il giornale dedicò un articolo in prima pagina e tutta la seconda e la terza all’alluvione, ma non fece alcun riferimento specifico alla tragedia che si era compiuta a Cardoso, al fatto insomma che il paese praticamente non esisteva più. Scriveva il quotidiano fiorentino “Tragico il bilancio, ancora parziale: i morti sono 7, ma il numero potrebbe aumentare perché alcune frazioni sono ancora isolate e non si è potuto accertare se ci sono dispersi”. Ponte Stazzemese, dove c’è la sede municipale di Stazzema, era una sorta di “fine del mondo”. Non che fosse semplice arrivarci. La strada lungo il Vezza era interrotta, meglio sarebbe dire “mangiata” letteralmente dalla piena, in più punti. Il Genio si mise subito all’opera per realizzare un Ponte Bailey poco a monte di Seravezza, mentre poco più a valle della cittadina l’ancora di salvezza per poter entrare in valle fu una strada secondaria che entra in un piccolo nucleo abitato, rialzata rispetto a quella principale lungofiume, che richiese mesi per essere rifatta. Allo stesso modo, risalendo la valle, subito dopo il bivio per Castelnuovo Garfagnana, la strada non c’era più per un lungo tratto e per molto tempo l’accesso a Ponte Stazzemese e a tutte le frazioni soprastanti avvenne grazie a una provvidenziale bretellina che dalla località Risvolta, già un centinaio di metri più in alto della valle, scende al centro del paese. Il video del momento in cui Ponte Stazzemese viene raggiunto dall’onda di piena, che, nel fuggi fuggi generale, porta via come fuscelli le auto parcheggiate davanti al Municipio e tira giù un’ala dell’Albergo la Pania, fece il giro di tutti i telegiornali e divenne un simbolo dell’alluvione. Oltre Ponte Stazzemese si entrava ancor più nel dramma, da una parte salendo ripidamente verso Mulina, poi, dopo ulteriore biforcazione, verso Pomezzana o Stazzema, dall’altra continuando lungo il fondovalle verso Cardoso, ma quest’ultima possibilità la mattina del 20 giugno era ancora del tutto preclusa. I giornali riempirono le pagine di cronaca con le prime testimonianze da Pomezzana e da Fornovolasco. A Pomezzana (230 abitanti), colpita dal primo grosso nubifragio già alle 5 del mattino, non vi furono vittime ma solo qualche ferito. La strada d’accesso al paese franò in più punti, ma la frana più grande scese dal crinale sopra il paese sul versante opposto allo stesso, distruggendo il bosco per centinaia di metri, abbattendosi nel vallone sottostante, proprio dove il tronco di strada che sale a Stazzema fa un tornante. L’onda d’urto fu tale che la massa di terra , roccia e materiale organico risalì per circa 80 metri sul versante opposto. Ancora alla fine di luglio, quando per la prima volta ripercorsi quella strada, si transitava in una sorta di cunicolo, con la strada liberata dalle ruspe affiancata sui due lati da muri di terra alti diversi metri. Un’altra immagine di Cardoso. Fornovolasco, il paese più colpito sul versante garfagnino, è piuttosto conosciuto perché nei pressi si trova la Grotta del Vento, una delle tante manifestazioni del carsismo apuano, ma una delle poche accessibili al grande pubblico, essendovi stati aperti da tempo dei percorsi turistici. A Fornovolasco ci fu una vittima, una anziana signora travolta dalla valanga di acqua, fango e pietre nella sua casa. Dal Monte Forato, che sta a ovest del paese, ma soprattutto dalla Pania Secca e da quella della Croce, che lo dominano a nord e nordovest, insieme all’acqua vennero giù infatti migliaia di metri cubi di roccia e terra. Le enormi “rigate” create dalle frane sul versante sud della Pania della Croce, quello che guarda maestoso verso la piana, rimasero evidentissime per anni a indicare quale sconvolgimento fosse avvenuto in quella zona e tuttora, malgrado sia ricresciuta l’erba, il tenacissimo paleo apuano, sono ancora riconoscibili a chi ricorda come il versante si presentava prima del 19 giugno 1996. Anche dal Forato arrivò di tutto, scendendo verso il paese lungo i torrenti Tinello e Chiesaccia. Lungo il primo, poco a monte del paese, si trova l’omonimo ristorante, dove avevo passato una piacevole domenica pochi mesi prima, ai primi di marzo, in mezzo alla neve. Vi tornai, in autunno, quando raggiungere Fornovolasco era ancora un’impresa, con la strada di fondovalle non ancora riaperta. Arrivammo al paese con il lunghissimo percorso che passa da Vergemoli, ma al momento di venire via i proprietari del “Tinello” ci consigliarono di fare la strada di fondovalle, che era in fase di ricostruzione. Ci dissero “Non è ancora collaudata ma potete passare, specie di domenica che il cantiere è chiuso”. Non fu una buona idea: il percorso era a tratti sterrato, senza protezioni e oltretutto mentre passavamo si mise a piovere. Prima, a fine pranzo, la proprietaria mi aveva fatto vedere le foto di quello che c’era davanti e dentro al locale, in parte distrutto, dopo l’alluvione: metri di pietre, alcune enormi! Ho ancora nelle orecchie il suo racconto angosciato di quel giorno, con il locale aperto all’ora di pranzo, l’acqua che cade violenta, sempre più forte, i boati delle frane che iniziano a rimbombare, fino alla decisione (provvidenziale) di fuggire, di andare in alto, su un poggio, sotto il diluvio, senza sapere cosa si troverà quando si tornerà giù. Altra immagine simbolo dell’alluvione quella del Lago di Trombacco, il bacino artificiale dell’Enel che sbarra il corso della Turrite pochi chilometri a valle di Fornovolasco. Nel giro di un’ora e mezzo il livello delle acque nel lago, per fortuna quasi vuoto a inizio evento, salì di quasi 6 metri; la superficie dell’invaso fu trasformata in una specie di sabbie mobili, con ogni sorta di oggetti a coprirne quasi completamente la superficie, dai tronchi degli alberi divelti a ogni genere di elettrodomestici e persino a un serbatoio di GPL. Quell’invaso ha probabilmente evitato danni gravissimi al grosso centro di Gallicano, il paese di 4.000 abitanti che si trova alla foce della Turrite, dove cioè il torrente confluisce nel Serchio. La diga, pur tracimando per alcune ore, ha retto la tremenda onda d’urto della piena che, se l’invaso non fosse stato vuoto, si sarebbe abbattuta su Gallicano, con effetti sicuramente distruttivi, visto che già così il torrente si è alzato paurosamente, ha distrutto allevamenti di trote, invaso numerose cantine e sollevato come un fuscello un ponte di legno che l’anno prima era stato inaugurato all’ingresso di Gallicano. Andò bene anche ai turisti che quella mattina erano in visita alla Grotta del Vento, una ventina di persone, molte di cittadinanza tedesca e olandese. Rimasti bloccati all’uscita della Grotta hanno visto il piazzale dove avevano parcheggiato le auto gonfiarsi come per un’onda che salisse dal basso e portar via le macchine stesse e persino un camion. Sono stati poi recuperati con gli elicotteri solo nel tardo pomeriggio di quel maledetto 19 giugno. La prima colonna di soccorsi “via terra” giunse a Fornovolasco alle 5 del 20 giugno. Distrutta la strada di fondovalle (come detto ci vollero molti mesi a riattivarla), impraticabile per le frane anche il lungo percorso che arriva in paese da Vergemoli, che diventò poi la via d’accesso normale fino alla riapertura della strada da Gallicano, la colonna si mise in marcia all’1, preceduta da una ruspa, da Fabbriche di Vallico, salendo per la strada allora non asfaltata che valica il crinale a San Pellegrinetto (quasi 1000 metri) per poi scendere per 500 metri fino al centro abitato. A mezzogiorno Fornovolasco era evacuato quasi completamente, dove il “quasi” significa che rimasero il parroco, i titolari del ristoranti “La Buca” (nel centro del paese) e “Il Rondone” (presso la Grotta) e quattro anziani. Abbiamo citato gli elicotteri. Furono fondamentali in quella emergenza, unici mezzi capaci di entrare in quelle valli strette e devastate da acqua e frane. Portarono fuori dalla zona sinistrata centinaia di persone, al contrario trasferendovi personale operativo, sanitario e volontari, nonché viveri, medicinali ed attrezzature. Fecero la spola continuamente per giorni e giorni, solo a tratti dovendosi fermare per condizioni meteo avverse (il tempo rimase tra il variabile e il perturbato per diversi giorni dopo il 19), tanto che il loro ronzare divenne una sorta di colonna sonora nei cieli della costa versiliese. Operarono ben 21 elicotteri appartenenti ai Vigili del Fuoco, Forze Armate (Esercito e Marina Militare), Guardia Forestale, Polizia, Carabinieri, Guardia di Finanza, Dipartimento della Protezione Civile e regione Toscana, che eseguirono fino ad oltre 200 missioni giornaliere coordinate dal COM di Seravezza. Anche gli abitanti di Cardoso furono evacuati con gli elicotteri, che li scendevano ad uno ad uno al campo sportivo “Buon Riposo” di Querceta, dove si intrecciarono le storie umane di tante famiglie, con i parenti che abitavano a valle, o erano comunque giù per lavoro o altri motivi al momento della tragedia, che col cuore colmo d’angoscia seguivano la spola dei velivoli aspettando di vedere scendere i loro cari, e ascoltando i racconti dei superstiti che parlavano dei morti e delle case distrutte. I piccoli borghi di Volegno e Pruno si trovano un paio di centinaia di metri più in alto di Cardoso, da cui passa l’unica strada che li collega al resto del mondo. I due paesi non ebbero danni gravi, una grossa frana li separò l’uno dall’altro ma senza investire abitazioni, tuttavia dovettero essere anch’essi evacuati appunto per l’impossibilità di raggiungerli. Da Volegno l’abitato di Cardoso è visibile, giù in basso, e una delle testimonianze più tremende del disastro fu infatti quello in diretta, con il “baracchino”, della giovane figlia del titolare del ristorante “Monteforato” che dalla sua casa assistette, potendo osservare tutta la scena, al momento in cui la marea di acqua e sassi travolse il paese, portandovi distruzione totale. Si salvò solo la chiesa, con le poche case che le stavano intorno, appena più in alto rispetto al greto del torrente, anzi dei torrenti, perché proprio a Cardoso si uniscono, nella parte alta, il Canale Versiglia e quello della Capriola, poi, appena a valle della chiesa, nel così neonato Vezza si getta anche il canale Deglio. Le confluenze dei torrenti amplificarono il già tremendo impatto delle “bombe” che scesero sul paese quando cedettero i bacini effimeri che si erano creati lungo i canali, più a monte, per l’ effetto diga soprattutto dovuto ai tronchi degli alberi portati via dalle frane. 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