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La grande neve Padana del 26 gennaio 2006: attori principali

di Antonio Pallucca
27 Gen 2006 - 21:32
in Senza categoria
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La neve a Lodi. Foto di Luca Bertolli.
Analizzando la situazione si deve prima percorrere un passo nel tempo di circa 2/3 giorni prima dell’evento.

Un flusso di correnti di ex origine artica ha portato un netto raffreddamento delle temperature nei medio e bassi strati dell’atmosfera. Raffreddamento che ha fatto segnare, in quasi tutta la pianura del nostro nord, una seria di temperature molto basse e quasi sempre sotto il valore dello “0” di diversi gradi. La particolare morfologia del territorio, chiuso a nord dall’arco delle Alpi ed a sud da quello dell’Appennino hanno mantenuto questo “gelo” pellicolare che aiutato anche da inversioni termiche si è ulteriormente consolidato nel tempo.

Quando questo “stagnante lago” viene raggiunto da “miti” correnti meridionali provenienti dal medio e basso Mediterraneo, quindi ricche di vapore, si crea una naturale azione di sovrascorrimento. L’aria mite ed umida, molto più leggera di quella fredda, viene spinta in quota e va ad impattare con la “grande muraglia” delle Alpi. Questo crea una sorta di imbrigliamento orografico ove l’aria Mediterranea sollevandosi si arricchisce ancor più di vapore producendo anche degli intensi ed estesi corpi nuvolosi. Le stesse marcate caratteristiche dei due tipi d’aria in contatto/contrasto favoriscono i nuclei di condensazione, quindi le precipitazioni. Il perdurare, inoltre, di questa azione mitigatrice in quota aggiunge spessore alla nuvolosità con conseguente formazione di una marcata agglomerazione dei cristalli di neve. Parliamo quindi di nubi (alto strati) che scivolano ad una altezza variabile tra i 3.000/4.000 mt, quindi con temperature in ogni caso molto al disotto dello 0° C. Quindi le precipitazioni che inizialmente si mostrano deboli, attraverso minuti fiocchi, con il passare del tempo si arricchiscono di vapore sempre più e iniziano a presentarsi molto più intense e di maggiori dimensioni.

Situazione ideale per frequenti e continui rovesci di neve che nel giro di qualche ora, trovando un suolo molto freddo, possono creare già dei piccoli accumuli. Questa azione (sovrascorrimento), inoltre, crea una debole rotazione antioraria nei medio e bassi strati che favorisce un costante richiamo di correnti mediamente settentrionali. Il perdurare, inoltre, di correnti in quota, dai quadranti meridionali, può spesso creare delle vere e proprie “tempeste” nevose ove la quantità di neve caduta può assumere livelli ragguardevoli.

Quindi è il “mite respiro Mediterraneo” uno dei maggior fautori di queste intense precipitazioni in aggiunta ad un’orografia “particolare” che “inondano” di bianco il terreno.

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