I giorni che precedettero il severo cambiamento delle condizioni meteo furono caratterizzati dal bel tempo estivo, con afa moderata. A Milano Linate la temperatura raggiunse i 32,6°C. Un valore che oggi ci fa sorridere se si pensa che la concezione di clima molto caldo e afoso oggigiorno ce l’abbiamo quando si supera la soglia dei 35°C.
A seguito di un periodo di alta pressione che porto lo Zero Termico oltre i 4000 metri (oggi cosa normale, ma allora no), una forte perturbazione oceanica raggiunse il Nord Italia, presentandosi, come sovente succede, foriera di piogge intense nella regione alpina e prealpina, e marginalmente nelle alte pianure lombarde.
Le piogge temporalesche ben presto assunsero intensità torrenziale in Canton Ticino, per portarsi in Valtellina, dove in 3 giorni caddero oltre 400 millimetri. Nel frattempo, potenti temporali con piogge di entità monsonica si ebbero in tutta l’area alpina e prealpina. Cadde una forte pioggia anche sui ghiacciai.
Da lì a poco si ebbe la catastrofe.
Il maltempo lascio un segno indelebile in tutta la Valtellina, dove si ebbero crolli, esondazioni diffuse di corsi d’acqua, frane, smottamenti. Il bilancio finale dell’ondata eccezionale di maltempo che fu causa dell’alluvione fu di 53 morti.
Il 18 luglio alle 17:30 nel paese di Tartano (Sondrio) un’enorme massa d’acqua e fango si abbatté su un condominio e poi su un Hotel. I morti furono in 11.
Fu la volta di Sondrio, il capoluogo della Valtellina da più parti venne inondato dai vari corsi d’acqua. Furono ingenti i danni. La città era assediata dall’acqua, e per giorni non si capiva cos’altro potessi accadere, in specie dopo i fatti del 28 Luglio.
A seguito delle fortissime piogge, il suolo era instabile, e alle 7:23 del 28 luglio una frana di immani dimensioni si staccò dal monte Zandila con quaranta milioni di metri cubi che piombano a valle ad una velocità di 400 km/h. Furono travolti i centri abitati di Sant’Antonio Morignone e Aquilone.
Fortunatamente i paesi erano stati evacuati precedentemente e ciò salvò la maggior parte della popolazione.
Ma il peggio fu imprevedibile: lo spostamento d’aria generato dalla frana risalì per alcune centinaia di metri la sponda opposta della montagna e uccise 35 persone.
La situazione dopo la grande frana era in evoluzione perché la grande quantità di terra e fango sbarrarono un corso d’acqua e si formò un lago artificiale che minacciava di essere colpito da altre frane. Si temette un Vajont, con un’onda d’acqua verso la valle, che avrebbe potuto travolgere migliaia di abitazioni.
Il maltempo e i disastri non furono limitati alla sola Valtellina, che è la maggiore delle valli alpine lombarde, ma patì danni e vittime anche Val Brembana, dove 18 luglio 1987 il fiume Brembo esondò rovinosamente, travolgendo la bassa valle. Ma furono ingenti i danni anche in alta Valle.
Ovunque ci furono frane, smottamenti, strade e ponti distrutti, linee telefoniche ed elettriche interrotte, tubature del gas, dell’acqua e delle fognature saltate, paesi isolati e aziende danneggiate. I morti furono 5.
Anche altre valli lombarde furono interessate dall’evento alluvionale, ma non si ebbero fortunatamente vittime. Tanti furono i torrenti straripati, le frane, i danni.
Secondo gli scienziati, i tempi di ritorno di eventi come quello sono abbastanza ampi, ma l’imprevedibilità del clima, i cambiamenti climatici, potrebbero riportarci a situazioni analoghe a quelle del Luglio 1987 con una frequenza maggiore rispetto al passato.