Come alcuni già sanno il PCAI è un indice, mediante la cui scala di valori si cerca di individuare la propensione della troposfera alle irruzioni di aria fredda dai quadranti di nord est, verso l’Europa centrale, ed a cascata verso l’Italia ed il Mediterraneo; perciò esprime una Probabilità (o quanto meno una Possibilità) di avere Irruzioni Artiche di tipo Continentale.
Per i dettagli sul metodo di calcolo dell’indice si rimanda al precedente articolo www.meteogiornale.it/news/read.php?id=14715.
Per i valori correnti dell’indice calcolati sulla base dei dati del modello GFS si veda www.meteogiornale.it/pcai/pcai.php.
In questo articolo si mostra l’andamento “storico” dei valori di PCAI, calcolati ricostruendo le serie dei dati di input dell’indice (valori di pressione slm e di altezze geopotenziale corrispondenti a 500hpa) utilizzando la banca dati di reanalisys “NCEP/NCAR monthly means”, del “National Oceanic and Atmosferic Administration” (NOAA).
Il grafico allegato n° 1 mostra i valori medi mensili dal 1948 ad oggi. Il calcolo è stato effettuato introducendo i valori medi mensili delle grandezze di calcolo, e non calcolando la media aritmetica mensile dei singoli valori giornalieri del PCAI (vedi nota).
Nel grafico per facilità di esposizione sono indicati in colore blu i mesi della stagione fredda (novembre-marzo) ed in rosso i restanti: un buon conoscitore dell’andamento storico degli inverni relativi all’ultimo cinquantennio non avrà difficoltà a riscontrare una buona correlazione tra episodi freddi rilevanti e valori medi mensili elevati dell’indice.
I valori dell’indice sono normalizzati: i valori medi e di deviazione standard mensili, utilizzati per la normalizzazione sono indicati nella tabelle seguenti.
Nel grafico 2, ove sono riportate le medie mensili relative all’intero periodo di osservazione, e focalizzando l’attenzione sul periodo della stagione fredda, si nota che i valori più elevati sono riscontrabili in febbraio e marzo: si conferma quindi statisticamente un predominio delle irruzioni a carattere AC sul finire della stagione invernale: questo fatto probabilmente è legato alla minore forza del vortice polare, che appare maggiormente disturbato e consente più frequentemente l’elevazione di strutture anticicloniche di blocco con retroazioni fredde a carattere AC (Artico Continentali), a scapito della genesi di profonde depressioni sul comparto nord orientale dell’Oceano Atlantico, che invece sono associate a valori piuttosto bassi dell’indice. Analoghe considerazioni possono probabilmente essere rintracciate per giustificare gli elevati valori dei mesi di aprile e maggio: ovviamente in questo caso l’efficacia di una eventuale dinamica potenzialmente favorevole alle irruzioni artiche continentali è largamente inferiore a quella che si riscontra in pieno inverno, tanto che appare più appropriato parlare in questo caso di condizioni favorevoli ad influenze fresche dai quadranti di nord est.
Il grafico che rappresenta l’andamento della deviazione standard media mensile, indica che questa è massima nei mesi invernali: questo fatto tutto sommato conferma che la maggiore valenza dell’indice si riscontra proprio per i mesi invernali, quando è minore l’appiattimento dei valori attorno alle medie (considerazione analoga può essere estrapolata anche per altri indici “teleconnettivi”, come ad esempio la NAO e la AO).
Si riporta infine l’andamento storico dell’indice espresso come media del periodo gennaio-marzo, che come detto sopra riveste il maggiore interesse dal punto di vista della valutazione delle irruzioni AC.
Il grafico acquista un forte interesse in relazione all’esame dell’andamento della media mobile a 5 anni: come si può notare, valori elevati della media a 5 anni si riscontrano per il periodo fine anni 50-anni 60: come noto in tale fase storica è rintracciabile una maggiore frequenza di forti irruzioni di tipo artico continentale, e conseguentemente una generalizzata anomalia termica negativa delle temperature del comparto italiano. Valori elevati anche negli anni 80, riconducibili più che altro al triennio “freddo” 1985-1987.
Una fase ampiamente negativa della media a 5 anni è invece riscontrabile negli anni 90, nei quali, come noto, gli inverni sono stati spesso miti e caratterizzati da pochissime irruzioni AC degne di nota.
Si nota anche l’andamento alla crescita del valore medio a 5 anni relativo all’ultimo periodo: in effetti anche questo dato bene si accorda con l’aumento di frequenza delle irruzioni fredde cui abbiamo assistito negli ultimi anni: tale fatto peraltro non è scontato, visto che il trend di aumento delle temperature medie globali non ha subito un arresto negli anni 2000, ma anzi è proseguito in modo accelerato (“Global Warming”): segno questo che per le sorti meteoclimatiche di un singolo comparto del pianeta, la disposizione prevalente di elementi configurativi atmosferici può giocare un ruolo anche più importante rispetto alle dinamiche di riscaldamento su scala planetaria.
Analoga considerazione potrebbe essere assunta per giustificare l’andamento non elevato della curva nel periodo degli anni 70: tali inverni sono stati mediamente più caldi rispetto alla media climatologica e caratterizzati da una bassa frequenza di irruzioni AC significative per l’Italia, nonostante a livello planetario le temperature hanno raggiunto valori di forte anomalia negativa proprio in quegli anni.
Interessante verificare che l’andamento indicato nel grafico n° 3 mostra una buona correlazione (a segni invertiti ovviamente) con il corrispondente grafico costruito con i dati dell’indice NAO rappresentato nel grafico allegato.