Fu un periodo a suo modo esaltante, l’Anno geofisico internazionale (luglio 1957 – dicembre 1958): per la prima volta si disponeva di misure della temperatura provenienti dal cuore del Grande Antartide e quei dati, per quanto già supposti, eccitarono la fantasia degli specialisti e del pubblico. La Monthly Weather Rewiew per parte americana, e il Sovinformbureau nei suoi notiziari per la stampa da quella sovietica, s’incaricarono di aggiornare la cronologia del record del freddo. Nessuno aveva mai registrato valori al di sotto dei -70 °C né, tantomeno, dei -100 °F (-73,3 °C): si stabilì dunque una corsa verso il basso che, in certa maniera, ricalcò quella che si stava giocando fra le superpotenze in altri campi, della conquista spaziale in particolare (era, per inciso, l’epoca dei lanci sovietici delle capsule Vostok: lo stesso nome della base aperta in Antartide).
Furono gli americani, logisticamente più preparati, che strapparono il record a Verhojansk e a Ojmiakon, le due località siberiane fino ad allora incontrastate regine del gelo estremo. Con l’avvio, nel 1957, della base di Amundsen-Scott infatti, i primati furono quasi quotidiani:
9 maggio | -71,1 °C | -96,0 °F |
10 maggio | -72,8 °C | -99,0 °F |
11 maggio | -72,8 °C | -99,0 °F |
12 maggio | -73,3 °C | -99,9 °F |
27 agosto | -73,3 °C | -99,9 °F |
16 settembre | -73,3 °C | -99,9 °F |
18 settembre | -74,4 °C | -101,9 °F |
Questa ricostruzione è basata sull’archivio dell’Amrc, le cui temperature differiscono lievemente da quelle pubblicati dalla Monthly Weather Rewiew: così, su quest’ultima si legge un valore di -73,5 °C l’11 maggio (per Amrc, invece, il 12 maggio), e di -74,5 °C il 17 settembre (Amrc il 18 settembre). Comunque fosse, il record doveva resistere solo una stagione.
Nel 1958 infatti, i sovietici aprirono le loro basi nei luoghi più impervi del plateau antartico e, da quel momento, il primato divenne un ‘affare di famiglia’. Il nuovo limite fu stabilito a Sovietskaya il 2 maggio: -78,3 °C. Noblesse oblige però, l’onore della prima volta a -80 °C doveva toccare a Vostok: che, il 15 giugno, fece segnare -80,7 °C. Durò poco perché, a Sovietskaya, il 19 giugno si andava a -81,2 °C e, il 25 giugno, a -83,0 °C. L’inverno intanto giungeva al culmine e, il 7 e l’8 agosto, a Vostok la minima infranse anche la soglia di -85 °C, fermandosi due volte a -85,7 °C. Ma da Sovietskaya, destinata, di lì a cinque mesi, a essere abbandonata, il 9 agosto venne ancora un record: -86,7 °C. Era finita? Macché: Vostok, la base che sarebbe diventata l’orgoglio sovietico, nuovo punto di riferimento del gelo estremo, raggiunse -87,4 °C il 25 agosto.
Il resto è storia posteriore, coi primati, sempre a Vostok, di -88,3 °C il 24 agosto 1960 e -89,2 °C il 21 luglio 1983. Ma nulla ha più il sapore della conquista, come fu in quel biennio, dove la precarietà delle conoscenze e dei mezzi dava a queste imprese l’aura del mito. Quanto alla sfida al record, chissà: il prossimo inverno, quello successivo al più, dovrebbe essere attivata Concordia, la base italo francese a Dome C, un luogo dove il termometro ha già segnato -84,3 °C. Nel futuro, sarà l’Europa il terzo incomodo, nell’eterna gara fra russi e americani?