La sera dell’8 settembre 1922, in un contesto anticiclonico livellato sul Mediterraneo centrale (1016 mb) «un minimo poco profondo sul mar Jonio, si allargava fra la penisola italiana e le coste libiche, fondendosi il mattino seguente (9 settembre) con la depressione sahariana». Il 10 settembre una saccatura si estendeva dal Golfo di Genova fra la Grande Sirte e le coste dell’Algeria, dando origine a un nuovo minimo che, il giorno 11 «si localizzava fra la Sicilia e il basso Tirreno interessando tutto il bacino del Mediterraneo centrale […] A Tripoli l’indomani (12 settembre) la pressione locale per effetto d’una perturbazione scorrente sul limite meridionale dell’anticiclone persistente sull’Europa occidentale e, quindi, alle spalle dei rilievi algero-tunisini subiva una nuova diminuzione […] seguita da un rapido rialzo nella notte (13 settembre)» [Fàntoli, pp. 56-59].
Fu questo il quadro sinottico che causò il forte aumento termico in Tripolitania e il record mondiale successivo. L’esatto valore rilevato ad Azizia il 13 settembre 1922, com’è annotato nel registro del Regio ufficio centrale di meteorologia e geodinamica, fu di 58,0 °C. Nella letteratura anglosassone questo dato, secondo consuetudine, venne convertito in 136,4 °F ma, in varie pubblicazioni, arrotondato a 136 °F, da cui una successiva riconversione a 57,8 °C: una ridda di temperature che, a volte, ha confuso gli studiosi stessi, i cui lavori non sono unanimi nell’indicazione [Pinna 1959, p. 283; Pinna 1977, p. 107].
L’onda termica si sviluppò da occidente a oriente, a iniziare dalla Tunisia: «Nelle località più arretrate rispetto al mare e quindi anche ad el-Azizìa, gli effetti, se non proprio l’azione diretta del richiamo di correnti meridionali, dotate di grande stabilità termica, perdurarono veementi fino al 15 […]» [Fàntoli, p. 59]. Il climatologo Hubert Horace Lamb (1913-’97), elaboratore tra l’altro della teoria sui picchi di temperatura in aree ristrette,1 in proposito notò: «Un fronte freddo stava avanzando verso est dall’Algeria e un’avvezione di aria calda dal Sahara interiore si era stabilita a una certa distanza davanti al fronte. Per due giorni consecutivi, prima del passaggio del fronte, Tripoli venne interessata da forti venti meridionali. Le precipitazioni nelle montagne a sud nella zona di Aouderas […] contribuirono al [rilascio di] calore latente di condensazione ai venti» [Riordan, p. 9]. D’estate, negli strati d’aria più prossimi al suolo roccioso, la temperatura tocca i 60-70 °C con un’umidità relativa bassissima. «Il richiamo verso il Mediterraneo che ha avuto luogo fra la prima e la seconda decade di settembre del 1922, ha quindi messo in moto una massa d’aria già relativamente omogenea come caratteri termoigrometrici in relazione alla sua permanenza in zona desertica ed anche all’altitudine di origine […] caratteri che la successiva, lenta ascesa […] fino ai mille metri del Gebèl tripolitano non ha sostanzialmente modificato. Dopo un percorso di uno o due giorni […] questa massa d’aria, raggiunto il Gebèl, si è riversata come un’immane cascata […] sulla pianura sottostante comprimendosi e scaldandosi adiabaticamente a circa 1° C/100 m con l’aumento di 9°-10° dalla temperatura d’origine. […] Nel caso specifico, la temperatura originaria di 42°-44° della massa d’aria può essere alquanto cresciuta durante il percorso e quindi aver ricevuto l’ultimo e più sensibile alimento, nella caduta su el-Azizìa, di cui è stato detto pocanzi» [Fàntoli, pp. 61-62].
I 58,0 °C che si registrarono restano un punto fermo nella saggistica di settore, mentre non hanno mai trovato spazio, se non come notazione marginale, i 58,0 °C di Nashratabad, al margine del Deserto di Lut, e i 58,8 °C di Bassora, nel Golfo Persico, non avendo ricevuto conferme, tali valori, dai rispettivi enti preposti al rilevamento [Pinna 1959, pp. 283-284]. I dubbi espressi circa il reale dato di Azizia riguardarono «l’esattezza intrinseca del termometro allora in uso, in relazione alla diversa capacità termica delle due sostanze (alcool 0,56 e mercurio 0,41) che lo compongono, della lastrina di smalto cui aderisce il tubo di vetro e della scatola di metallo che regge il tutto, ed infine circa l’influenza sullo stesso (attraverso le persiane semplici della capannina) della radiazione dovuta dalla copertura della terrazza. In tali condizioni […] sembra si possa stimare in 2° C l’eventuale eccesso della segnalazione del 13 settembre 1922, e ciò fino a quando un’altra punta eguale ai 58° di quel giorno […] con capannina a doppie persiane, sistemata su terreno steppico, confermi, a quarant’anni di distanza, l’esattezza della prima» [Fàntoli, pp. 62-63].
Articoli precedenti
In cerca del caldo record. Parte I: la Valle della Morte
In cerca del caldo record. Parte II: subsidenza ed effetto föhn
In cerca del caldo record. Parte III: il ciclo solare
In cerca del caldo record. Parte IV: la Gefara tripolitana
Note
1. Si veda la parte II.
Bibliografia
A. FANTOLI, La più alta temperatura del mondo, «Rivista di Meteorologia Aeronautica», vol. 18, n. 3 (1958), pp. 53-63.
M. PINNA, La temperatura minima e la temperatura massima registrate sulla Terra, «Rivista Geografica Italiana», vol. 66, n. 3 (1959), pp. 282-284.
M. PINNA, Climatologia, Torino, 1977.
P. RIORDAN, Weather extremes around the World, Natick, 1970.