Due studiosi di fisica, Nicola Scafetta, ricercatore scientifico associato al Dipartimento di Fisica della Duke University, e Bruce West, professore nella medesima e capo del Direttorato di Scienze Matematiche e Informatiche dell’Army Research Office, hanno pubblicato il risultato delle loro ricerche on line il 28/9/2005 nel prestigioso giornale “Geophysical Research Letters”.
Cosa sostengono nel loro studio? Che in passato sono stati interpretati erroneamente i dati raccolti dai satelliti sulla luminosità solare. Da questo conseguerebbe che l’attività solare avrebbe un maggior peso nel determinare l’incremento delle temperature superficiali registrato negli ultimi venti anni, rispetto a quanto si riteneva.
L’osservazione dell’attività delle macchie solari suggerisce che l’output solare, cioè in sostanza la quantità di energia e di calore che dal Sole arriva alla nostra atmosfera, sia aumentato negli ultimi cento anni. Più correttamente ci dobbiamo basare su dati scientifici che segnalano la radiazione solare totale, misurata dai satelliti dal 1978. Ma i dati complessivi sono stati rovinati dal disastro dello shuttle Challenger di qualche anno fa. Infatti, il satellite ACRIM1 non è stato sostituito con uno nuovo. Sono, perciò, venuti a mancare due anni di dati. Di conseguenza diversi gruppi di ricerca avevano escluso l’influenza crescente del Sole in mancanza di una serie ininterrotta e standardizzata di dati.
Nel 2003 è comparso uno studio di un gruppo guidato dal prof. Richard Willson della Columbia University, che ha, invece, concluso che si è avuto un trend in crescita della media della luminosità solare durante il periodo dal 1980 al 2002. Il contributo dei due fisici della Duke, Scafetta e West, si è basato su questo studio, per analizzare il tipo di risposta dell’atmosfera terrestre ad un più forte riscaldamento di origine solare, anche se leggero.
Il metodo usato nella loro ricerca ha preso in esame i cambiamenti solari su periodi di 22 anni anziché 11, come tradizionalmente si faceva. L’approccio statistico è stato quindi diverso, perché, siccome si è riscontrato un ritardo nella risposta dell’atmosfera terrestre al riscaldamento di origine solare, con un periodo più lungo è possibile vederne con maggior precisione gli effetti. Contemporaneamente è possibile tener conto degli altri fattori di influenza sul clima come eruzioni vulcaniche e modifiche delle correnti oceaniche, come il Niño, che lavorano su raggio temporale più corto.
La conclusione alla quale Scafetta e West sono arrivati è che il Sole può avere come minimo contribuito dal 10% al 30% al riscaldamento globale superficiale tra 1980 e 2002. Gli autori hanno affermato che non intendevano sminuire l’importanza dell’azione dei gas serra di origine umana sul GW. Per loro è importante che si tenga conto dell’attività solare nei modelli climatici usati per comprendere le possibili evoluzioni del clima globale. Ma ciò si rende utile anche per capire meglio cosa è accaduto durante gli ultimi duecento anni.
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