Come premessa fondamentale possiamo subito affermare che l’argomento ha stretta correlazione con il clima a livello globale. Il tutto risale al 1992 quando nell’ambito della “Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici” gli Stati partecipanti riconobbero l’importanza nell’adottare degli strumenti di riduzione nell’emissione di anidride carbonica (CO2) nell’atmosfera, ritenuto uno dei principali gas responsabili del cosiddetto “effetto serra”.
Va subito detto che uno strato naturale di anidride carbonica avvolge l’atmosfera terrestre, fungendo come schermo protettivo alla dispersione della radiazione solare assorbita e riemessa dalla superficie terrestre. Senza questo velo il calore accumulato verrebbe disperso a la Terra sarebbe soggetta ad un abbassamento termico che ci catapulterebbe verso una terribile era glaciale, con la vita compromessa. Ma va detto che se la CO2 supera determinati valori avviene il fenomeno contrario, ossia il riscaldamento eccessivo della superficie terrestre, che è poi ciò di cui si discute all’interno del protocollo di Kyoto.
Nel corso degli anni si è passati attraverso vari incontri Internazionali per adeguamenti successivi degli impegni assunti nel 1992. Dal 1995 a Berlino, dove si decise che per ottenere dei risultati significativi non bastava mantenere i livelli di CO2 inalterati rispetto al 1990 (anno di riferimento), al 1997, anno nel quale venne istituito il vero e proprio protocollo di Kyoto e col quale ci si impegnava nella riduzione del totale delle emissioni del 5% rispetto ai valori registrati nel 1990 in un periodo di 4 anni (dal 2008 al 2012).
Il protocollo è stato aperto alla firma nel marzo del 1998 con la previsione dell’entrata in vigore nel momento in cui almeno 55 parti della Convenzione originaria lo avessero ratificato. Tra queste 55 parti rientrano anche i paesi cosiddetti “sviluppati”, le cui emissioni totali rappresentano il 55% della quantità totale emessa nell’anno di riferimento (il 1990).
Tra questi paesi rientra l’Italia, il cui impegno è stato quantificato in un valore dell’8% rispetto al valore misurato nel 1990. Da quel lontano marzo del 1998 sono passati oramai sette anni, nei quali vari paesi si sono mostrati contrari alle rigide (secondo i vari punti di vista) regole dettate dall’accordo. Tra i tanti ricordiamo gli USA e la Russia, non consentendo in tal modo il raggiungimento di quel 55% necessario per l’applicazione definitiva del protocollo.
È storia recente l’entrata nella fase operativa del protocollo, avvenuta nel Febbraio del 2005 grazie alla firma della Russia dopo una lunga trattativa conclusasi nel mese di Ottobre del 2004. Ciò ha permesso di raggiungere il 61,6% di emissioni complessive prodotte dai paesi industrializzati, tagliando cosi la soglia del 55%. Si attendono notizie dagli Stati Uniti, ancora restii alla trattativa e secondo i quali si potrebbero adottare misure meno lesive alla forte economia industriale che caratterizza molti Stati degli USA.
Nel frattempo in Europa si stanno mettendo in opera le prime procedure, che contiamo di illustrare in un successivo editoriale con particolare riferimento alla nostra Nazione, nella speranza che il presente sia stato di aiuto ad una migliore comprensione delle politiche Internazionali.