Il livello medio marino del Mediterraneo è già salito di circa 15-20 cm dalla fine del 19° secolo, sulla base delle misurazioni fornite dall’Istituto di Scienze Marine del Cnr. Può sembrare molto o poco a seconda dei punti di vista, ma quel che allarma di più sono le proiezioni per i prossimi decenni, tramite le stime effettuate dai modelli matematici, che simulano l’evoluzione del clima ipotizzando diversi scenari di emissioni serra. Nello scenario più ottimistico l’aumento del livello medio marino è stimato tra 26 e 55 cm, rispetto alla fine del 20° secolo, mentre nelle ipotesi peggiori il livello salirebbe tra 45 e 82 cm. Ciò porterebbe non solo inondazione, ma l’intrusione di acqua salata nelle falde.
Tutto ciò è contenuto nel quinto rapporto dell’IPCC: il mare sale, dunque, e il suolo si abbassa per il fenomeno della subsidenza. Il risultato è quell”innalzamento del livello marino relativo, che porta alla possibilità che l’acqua del mare possa rappresentare un rischio per quelle infrastrutture e attività umane che in prossimità della costa si sono sviluppate. La minaccia inevitabilmente riguarda anche l’Italia, con almeno un terzo delle coste italiane che potrebbero subire un impatto importante anche considerando le previsioni meno pessimistiche d’innalzamento del livello del mare. Vediamo nel dettaglio le zone considerate più vulnerabili dall’Istituto di Scienze Marine del Cnr (clicca per proseguire la lettura…)
La situazione potenzialmente più critica riguarderebbe gran parte della costa emiliana-romagnola, veneta e friulana, con il delta del Po e laguna di Venezia tra i settori più vulnerabili all’aumento medio del livello marino, che potrebbe incrementarsi da un minimo di 60 cm a un massimo di 1,4 metri. Subsidenza elevata è stata riscontrata anche nella pianura di Manfredonia (Foggia), nella piana di Sibari, a Crotone. Nel Mediterraneo troppo davvero è stato costruito a un metro dal mare e ciò rappresenta il principale problema. Abbiamo infrastrutture e ferrovie vicinissime al mare e sarebbe necessario programmare fin d’ora le risposte a quella che potrebbe essere la necessità di programmare un futuro diverso per le aree considerate più a rischio.
In totale, sono ben 33 le aree a rischio allagamento, in quanto sono territori che già ora stanno sul livello del mare, se non al di sotto. Fiumicino, ad esempio, è costruita in un’area che sta a meno uno: l’aeroporto è costruito in un area depressa dove oggi l’altimetro segna meno uno e quindi ci sono opere, dighe e idrovore che in futuro andranno potenziate per mantenere l’aeroporto fuori dall’allagamento. Uno studio di Enea, Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, Università di Bologna, Conisma e Lesia Observatoire de Paris, si è concentrato su quattro aree della penisola italiana (Nord Adriatico, Golfo di Taranto, Golfo di Oristano e quello di Cagliari) stimando fino a 5.500 kmq l’estensione di territorio a rischio allagamento al 2100.