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Il disastro di Molare del 1935: la cronaca dell’evento (seconda parte)

di Giovanni Staiano
20 Ago 2012 - 08:40
in Senza categoria
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Nelle immagini (fonte www.molare.net) la diga secondaria, sovrastata dal Bric Zerbino, poche ore dopo il crollo e, vista da monte, nel 1925.
il disastro di molare del 1935 la cronaca dell evento seconda parte 22032 1 2 - Il disastro di Molare del 1935: la cronaca dell'evento (seconda parte)
L’alba del 13 Agosto 1935 era tersa e calda nelle valli del Piemonte meridionale. Non era una novità. Il 1935 stava per essere ricordato come una delle annate più siccitose a memoria d’uomo. I contadini che vivevano nella valle dell’Orba erano preoccupati perchè la siccità stava compromettendo i raccolti e l’allevamento. La crisi idrica costrinse la Direzione delle OEG a programmare un drastico taglio della produzione elettrica. Ciò aveva come inevitabile conseguenza la chiusura degli scarichi della diga con effetti negativi sulla portata del torrente, ormai in secca. I contadini, comunque, si stavano accingendo a partire per i campi. Alle 6.30 il boato di un lontano tuono spezzò la monotonia degli ultimi mesi. Gli sguardi vi volsero speranzosi verso sud, verso i monti sopra i quali era visibile un’enorme nuvola nera che puntava spedita in direzione nord. Alle 7.30 si abbatté su Molare e Ovada un vero e proprio nubifragio. Ad Ortiglieto iniziò a piovere già alle 6.

Le portate di piena dei corsi d’acqua si calcolano in base ai tempi di ritorno. Per il torrente Orba all’altezza di Molare portate di piena pari a circa 1500 mc/sec sono calcolate per tempi di ritorno pari a 500 anni, il che significa che in 500 anni almeno una volta si avrà tale portata, detta “Portata di piena catastrofica”. Una portata di piena “normale” per il Torrente Orba, che si verifica per esempio ogni 50 anni, è di circa 1000 mc/sec. La portata del 13 agosto 1935 all’altezza della diga, 5 km a monte di Molare, risultò compresa tra 2200 e 2300 mc/sec, statisticamente un evento di tale portata ha tempi di ritorno di circa 1000 anni. La testimonianza del guardiano della diga al processo fu drammatica: ” …. Da questo momento gli avvenimenti precipitano; alle 10 il livello del lago aveva già raggiunto quota 318,08, alle 10.50 il lago raggiungeva la quota di massima ritenuta normale metri 322. Dalle 10.45 alle 12.30 l’uragano si calmava un poco, ma alle 12.30 il livello del lago raggiungeva la quota della sommità della diga di Sella Zerbino (metri 324,50) e cominciava a stramazzare al di sopra di essa. La pioggia subito dopo le 12.30 riprendeva a cadere con violenza spaventosa. Il livello del lago si alzava ancora e raggiungeva alle ore 13.15 la quota di 326,67…….”.

Torniamo qualche ora indietro nella cronaca di quella drammatica mattina. Quando il guardiano Abele De Guz si accorse che il livello del lago saliva vertiginosamente, attivò i sifoni che subito scaricarono a massimo regime assieme allo scaricatore di superficie. Ciò determinò i primi problemi giù a valle, ad Ovada, dove il livello del torrente aumentò rapidamente senza però allarmare eccessivamente gli abitanti. La popolazione infatti conosceva da tempo i capricci dell’Orba ed in particolare era ancora vivo il ricordo dell’alluvione del 1915. Ma già alle 9.30 il rischio di un’esondazione iniziò a turbare i pensieri del sig. Mario Grillo, responsabile della centralina elettrica “dei Frati”.

Alle 10.30 il personale della Centrale Elettrica ed il guardiano della diga principale attivarono la valvola a campana che funzionò per pochi minuti bloccandosi a causa del troppo fango e detriti che andavano accumulandosi sul fondo del lago. Lo scaricatore di fondo sembrava anch’esso inutilizzabile. L’acqua iniziò a stramazzare sopra le due dighe posizionate alla stessa quota topografica. Si interruppe il collegamento telefonico tra la Centrale di Molare (e Ovada) con Bric Zerbino. Il personale della Centrale Elettrica avvertì Ovada che l’acqua che stava per scendere era molta. Alle 11 l’Orba stava esondando su più punti: il mulino di Molare e Loc. Ghiaie erano minacciati dalle acque così come i fabbricati più bassi del Borgo di Ovada molti dei quali stavano per essere evacuati.

Ormai le due dighe erano sovrastate da una lama di stramazzo di circa 2.5 m. Il guardiano della diga incrociava le dita. Frattanto alle 13 il sig. Mario Grillo, che “già stava a bagno”, ricevette l’ultima telefonata dalla Centrale di Molare che lo esortava ” … ad avvisare le Autorità locali ed il Genio Civile di Alessandria che il pericolo era imminente.” Alle 13.15 la diga secondaria e tutta la Sella Zerbino collassarono. Alle 14.30 smise di piovere, nella regione (alla stazione della Centrale Idroelettrica) in quelle 8 ore erano caduti fino a 554 mm di pioggia, di cui 115 mm in un’ora, 225 in 3 ore e 381 in 6 ore. Ma in tutto il bacino dell’Orba le precipitazioni furono estreme, caddero 453 mm di pioggia a Piampaludo, 433 al Lago Lavagnina, 377 a Masone e 300 ad Ovada (valori paragonabili a quelli dell’alluvione della Val di Vara dell’ottobre 2011).

L’ondata conseguente al cedimento non dovette percorrere molta strada per mietere le prime vittime. Frontalmente alla Sella Zerbino era infatti posizionata una cascina con licenza d’ostello (Castellocielo – Castellunzè). I proprietari scapparono risalendo il versante. A nulla valsero le insistenze nei confronti di due viandanti (le cronache dell’epoca riportano solo di “un venditore ambulante” mentre testimonianze parlarono di un’altra persona) appena arrivati a riposarsi dal viaggio. L’ostello fu prima schiacciato dallo spostamento d’aria e poi cancellato da un’immane ondata. Un solo cadavere venne recuperato dal greto del fiume. La massa d’acqua procedette verso valle percorrendo gli stretti meandri rocciosi sino a raggiungere Loc. Marciazza e Loc. Isole. I danni furono ingenti ma non devastanti perchè Loc. Marciazza si trovava all’interno di uno spettacolare meandro e fuori traiettoria dell’ondata mentre Loc. Isole era posizionata a valle ma in posizione un po’ più elevata.

Ancora più a valle l’alveo fluviale percorre una forra (il Canyon di Molare) larga pochi metri e con sponde alte non meno di 8-10 m. L’acqua saltò letteralmente l’ostacolo invadendo tratti boschivi ed asportando una piccola passerella. A quel punto l’ondata iniziò a fare davvero sul serio. La sua prima grande preda fu la Centrale Elettrica posizionata poco sopra il greto del fiume. Molte foto scattate il giorno successivo mostrano le poche rovine che resistettero alla furia dell’acqua, le quattro grandi turbine di ghisa rimasero invece ancorate alla roccia. Altre foto scattate alcune ore dopo mostrano una specie di geyser alto circa 30 metri costituito da una nube d’acqua generata dalla condotta forzata che ormai scaricava sul cadavere della centrale. Il fenomeno durò circa 24 ore ed era visibile a molti chilometri di distanza. Venne anche distrutta la casa del guardiano, ma egli e la sua famiglia miracolosamente scamparono alla morte. Non fu così per il padre del guardiano che assieme ad un amico si trovava nei pressi del torrente nel momento meno opportuno. Dei due amici perì l’unico che sapeva nuotare. Il suo corpo fu ritrovato nei primi anni ’60 durante alcuni scavi ed identificato grazie ad un anello. Prima di allora nella sua tomba riposò la salma sbagliata (forse proprio il secondo viandante di Castellunzè).

Il tratto di torrente compreso tra l’ex Centrale Elettrica e Molare non era urbanizzato. L’ondata si abbatté con tutta la sua furia contro gli sbarramenti presenti. In Loc. Seria era presente la grande briglia (“La Pisa”) che oltre a svolgere una funzione di compensazione delle piene, determinava una piccolo lago da cui partiva un canale artificiale (“Il Bidale”) che portava l’acqua alle pale del mulino di Molare. La briglia fu squarciata (le rovine sono ancora visibili in corrispondenza della nuova briglia costruita recentemente). L’abitato di Molare, ubicato al di sopra di un terrazzo alluvionale di altezza variabile da 20 a 35 mt sul livello dell’alveo, non fu interessato direttamente dall’ondata. Gli abitanti stavano nei punti elevati ad osservare l’inattesa piena del torrente Orba. Si può immaginare la loro espressione quando videro il “ponte di Molare” (della SS. N. 456 del Turchino) essere letteralmente inghiottito da un’ondata gigantesca.

Subito a valle del ponte, “Il Bidale” convogliava l’acqua alle pale del mulino. Quest’ultimo fu facile preda per cotanta devastante forza. Fortunatamente i proprietari avevano evacuato il fabbricato. Il Rio Granozza anch’esso in piena fu “brutalmente sospinto” verso monte sovrastando il piccolo ponte per frazione Battagliosi che però ostinato rimase in piedi. Più a valle l’ondata iniziò a non accontentarsi più di ponti, dighe e mulini. Loc. Ghiaia era posizionata in sponda destra del torrente, di fronte a Molare, ma solo pochi metri più in alto dell’alveo. I fabbricati presenti furono totalmente asportati ed alcuni abitanti persero la vita. Il ponte ferroviario alto poco meno di 20 metri e lungo 150 fu asportato. I testimoni raccontarono che la struttura in ferro venne staccata dai piloni e come un tronco d’albero rotolò sopra le acque per parecchie centinaia di metri. Il treno locale Genova-Acqui Terme mancò all’appuntamento con il destino per 8 minuti di anticipo. L’ondata lasciò nel territorio di Molare 3 morti (più 8 di Loc. Ghiaia facente già parte di Ovada). Peggio andò più a valle.

L’abitato di Ovada è posizionato a circa 3.5 km a NE di Molare. Tra i due, varie località come Ghiaia, Rebba, Carlovini Monteggio, posizionate tra i 10 ed i 15 metri sul livello dell’Orba furono distrutte dalle acque o gravemente lesionate. Dopo aver distrutto il ponte ferroviario di Molare l’ondata raggiunse Loc. Monteggio situata in sponda sinistra. A Monteggio le vittime furono 7, il paese fu raso al suolo, disintegrato, cancellato per sempre dalla faccia della Terra. Sorte assai simile toccò a Rebba, posizionata di fronte a Monteggio ma in sponda destra. Molte case furono distrutte ed altre 13 vite furono strappate dalle acque (di cui ben otto, padre, madre e sei figli, della stessa famiglia). Testimoni oculari narrano delle persone aggrappate sui tetti delle abitazioni e di altre trascinate via dalle impetuose correnti. Un’anziana donna venne tratta in salvo circa 1,5 km più a valle.

L’ondata stava per raggiungere Ovada e l’apogeo della catastrofe, ma prima distrusse ampi settori di Loc. Geirino causando la morte di altre 4 persone. Più giù, in sponda destra è presente “la Rocca delle Anime”, un bastione di arenarie e marne, lo schianto dell’ondata fu terrificante ma salvò il ponte stradale di San Paolo che venne colpito “di sponda”. Se la cavò con qualche danno alla struttura. Non fu così per il terrapieno posto nel lato sinistro del ponte che fu spazzato via. Il Ponte ferroviario della Veneta (chiamato così perché fu una ditta veneta a costruirlo nel 1905) della linea Genova-Ovada-Alessandria oppose con vigore resistenza. Si salvò grazie all’ampiezza delle sue arcate che comunque furono messe a dura prova forse più che durante i ripetuti bombardamenti del secondo conflitto mondiale. Le dimensioni di tale attraversamento danno comunque idea della potenza e della portata d’acqua dell’ondata. In corrispondenza “della Veneta” infatti si generò un rigurgito della corrente d’acqua e fece sì che molti fabbricati posizionati lateralmente fossero lesionati “in senso opposto al deflusso del torrente”.

Dopo la “Rocca delle Anime” un altro ostacolo, questa volta artificiale, oppose resistenza all’ondata, il muraglione dello Sferisterio Marenco, alto 16 m e lungo 100 costruito nel 1925. Lo schianto determinò una brusca deviazione dell’ondata senza comunque un sensibile rallentamento. L’ondata di piena si scagliò poi rabbiosa sul ponte che univa Piazza Castello al Borgo di Ovada demolendolo. La catastrofe si stava compiendo: pochi minuti dopo le 14 del 13 Agosto 1935 l’ondata investì il Borgo di Ovada posizionato in sponda sinistra pochi metri superiormente all’alveo fluviale. Questa borgata era separata dal centro storico di Ovada dal Torrente Orba e rappresentava in un certo senso una cittadella autosufficiente, quartiere popoloso di contadini che, a causa delle piogge e dell’ora, erano quasi tutti nelle loro abitazioni. Per molti di loro non ci fu scampo, altri vennero trascinati via dalla corrente e riuscirono miracolosamente o fortunosamente a salvarsi. Le abitazioni travolte dalle acque si aprirono come libri e non vi fu scampo per 65 persone. Nella sponda opposta, molti ovadesi furono testimoni oculari di tale terrificante spettacolo, di episodi di eroismo e di sciagure famigliari. Ad Ovada molti raccontarono di aver visto distintamente galleggiare il pavimento del Mulino di Molare con tanto di sacchi di farina.

Poco oltre Borgo di Ovada, l’ondata raggiunse la confluenza dello Stura, anch’esso in piena. Il centro storico di Ovada è infatti limitato ad ovest dall’Orba e ad est dallo Stura, che si incontrano poche centinaia di metri a valle della città. Durante quella nefasta giornata più che un incontro fu un vero e proprio scontro. Ciò determinò un effetto del tutto simile a quanto accaduto a Molare in corrispondenza della confluenza con il piccolo Rio Granozza. Lo Stura, anch’esso in piena, si trovò il cammino sbarrato da un prepotente muro d’acqua. Lo Stura fu costretto ad indietreggiare non riuscendo a scaricare la sua portata. Tale arretramento si protrasse per circa 1.5 km sino ad abbattere il ponte stradale di Belforte costruito da poco. L’effetto fu evidenziato dalla dinamica del crollo che avvenne da valle verso monte e non viceversa come sarebbe stato logico aspettarsi. L’ondata superò Ovada e con il contributo dello Stura si riversò nell’ampia vallata interrompendo in più punti le vie di comunicazione stradali e ferroviarie. La sua energia risultava ancora notevole e le acque invasero ampi settori dei fondovalle arrecando gravissimi danni a molte frazioni dei comuni di Silvano d’Orba, Capriata e Predosa.

In quest’ultima località resistette il ponte stradale già flagellato dalla piena dell’anno precedente. Ma a Capriata perirono 4 persone (due fratellini di 12 anni e 20 mesi, la madre e il podestà). In queste località, una decina di km a valle di Ovada, vi furono molte situazioni drammatiche: la zona era molto ampia ma molte erano le cascine che si trovavano in prossimità del fiume. Ancora più a valle, ormai in prossimità di Alessandria, nei comuni di Fresonara, Basaluzzo, Boscomarengo, Casalcermelli la rottura in più punti degli argini causò l’allagamento di centinaia di ettari di campi con numerosi danni, anche a cascine e cimiteri. In questi comuni, nei giorni successivi, vennero recuperate vittime ovadesi trascinate dalle acque per molti chilometri. Alla fine l’ondata raggiunse la confluenza dell’Orba con il fiume Bormida. In tutto le vittime furono 111.

Si ringrazia per il materiale messo a disposizione il sig. Vittorio Bonaria, curatore del sito www.molare.net.

Domani martedì 21 agosto verrà pubblicata la terza ed ultima parte del reportage.

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