La misurazione della pioggia caduta si può fare con facilità: il modo più semplice consiste nel procurarsi un contenitore largo e con le pareti verticali (es. una pentola), e poi, con un righello, misurare i mm di acqua accumulati.
Un altro metodo più elegante consiste nel preparare un contenitore cilindrico più piccolo di diametro e alto, graduato in mm e aperto all’estremità superiore, e inserirvi un normale imbuto circolare.
In questo caso, alla fine della precipitazione, per calcolare i mm di pioggia caduti, bisogna prima trovare il rapporto R tra la superficie della sommità dell’imbuto e quella della base del cilindro che raccoglie l’acqua (le superfici circolari si calcolano facilmente, basta moltiplicare il raggio per se stesso, e poi moltiplicare il risultato per 3,14…o per i pignoli, per il numero “pi greco”.).
Facciamo un esempio pratico: se il mio cilindro ha un raggio di 3 cm e l’imbuto di 12cm, la superficie della base del cilindro sarà 3*3*3,14 = 28,26 centimetri quadrati, mentre la superficie di raccolta dell’imbuto sarà 12*12*3,14 = 489,6 centimetri quadrati.
489,6 diviso 28,26 fa 17,12, che è il nostro rapporto R.
Supponendo che, dopo un temporale, nel cilindro si misurino 247 mm di acqua, per calcolare i mm di pioggia caduti basta fare 247/17,12 = 14,4 mm (quanto cade, per esempio, in un temporale estivo di media intensità con una o due ore di pioggia).
Per avere valori accettabili, però, bisogna stare attenti a mettere il pluviometro nel posto giusto: l’ideale sarebbe all’aperto, lontano da edifici e alberi, e ad un’altezza sufficiente perché non vi entrino schizzi di acqua; per chi abita in città, il problema è più complesso; se il tetto del proprio edificio è più alto di quelli circostanti in un raggio di almeno qualche decina di metri, allora, può andar bene, ma bisogna scegliere con cura anche il punto del tetto in cui metterlo poiché, nei casi di tetti inclinati, si creano zone d’ombra che possono causare errori anche notevoli, specie quando la precipitazione è associata al vento, e quindi la pioggia cade inclinata. Le abitazioni che, anziché i tetti, hanno i terrazzi solari (per esempio, sulla Riviera Ligure), sono, da questo punto di vista, avvantaggiate.
Per gli appassionati di elettronica, non è difficile integrare il pluviometro con la stazione meteo: basta sistemare nel cilindro utilizzato come pluviometro un galleggiante e collegarlo, tramite un alberino, a un dispositivo fisico di controllo chiamato potenziometro a rotazione; tale potenziometro dovrà poi essere alimentato con una corrente elettrica di basso voltaggio (es. 5 Volt)
Il principio di funzionamento è semplice: man mano che l’acqua sale, il galleggiante sale e fa ruotare l’alberino su cui è fissato; a questo punto il potenziometro inizia a “leggere” le variazioni del potenziale elettrico provocate dalla rotazione dell’alberino.
Una legge della fisica ci dice che le variazioni di potenziale elettrico misurate dal potenziometro sono proporzionali ai giri dell’alberino; così, misurando tali variazioni è possibile stabilire quanti giri ha percorso l’alberino e, di conseguenza, di quanto è salito il galleggiante e, quindi, quanti millimetri di acqua sono caduti.
La taratura del potenziometro deve avvenire attraverso una serie di misurazioni che hanno lo scopo di trovare la funzione lineare esatta tra variazioni di potenziale elettrico e millimetri di acqua; di solito si utilizza il “metodo dei minimi quadrati”: si tratta di un semplice procedimento statistico che richiede solo operazioni algebriche elementari; chi non lo conoscesse può impararlo in tempi brevi consultando un qualsiasi libro o manuale di statistica.
Per chi volesse cimentarsi, occorre dapprima fare una serie di rilevazioni e, successivamente, applicare il metodo dei “minimi quadrati” ponendo come x i millimetri di acqua caduti e Y le variazioni misurate dal potenziometro; a questo punto, dopo i calcoli, si troveranno i due parametri A e b e sarà così possibile trovare la funzione lineare Y = A.x + b, dove Y è la variabile dipendente e x la variabile indipendente.
Tale funzione dovrà poi essere integrata, tramite opportuno software, nella stazione meteo informatizzata di modo che, conoscendo Y (la misura data del potenziometro) e i parametri A e b, il programma sia in grado di calcolare, in tempo reale e senza errori, i millimetri di acqua caduti.
Ovviamente i pluviometri, come tutti gli altri strumenti meteo, si trovano ormai sul mercato a prezzi abbastanza abbordabili, ma credo che per gli appassionati non vi sia nulla di più bello che provare a costruirseli in casa, manuali o elettronici che siano.
Un cenno, infine, alla misurazione delle nevicate: in questo caso, di solito, si utilizza come nivometro un semplice cilindro di dimensioni note in cui si raccoglie in un punto opportuno ( vedi le considerazioni fatte per il pluviometro) un campione di neve che sarà poi fuso per calcolare la quantità equivalente di acqua. La misurazione della neve presenta, però, alcuni fattori di errore tra cui, per esempio, il vento che, in molti casi, crea accumuli disomogenei al suolo.
In alcuni casi si raccoglie il campione di neve soltanto alla fine della precipitazione, estraendolo col cilindro, ma questo metodo è fonte di errore per difetto in caso di temperatura sopra lo zero, in quanto parte della neve caduta si è già sciolta e non verrà più misurata.
Infine, è inutile provare a “stimare” il volume d’acqua caduto in una nevicata semplicemente misurando l’altezza del manto nevoso: senza considerare il rischio, sopra citato, che una parte di neve si sia già fusa, si pensi che, a seconda dell’umidità dell’aria, un centimetro cubo d’acqua può generare da 6 a 20 centimetri cubi di neve (più l’aria è secca e più la neve trattiene aria, diventa farinosa, e il manto nevoso al suolo cresce facilmente).
Sui “segreti” della neve – dalla magia della formazione dei fiocchi, al suo ruolo in agricoltura, dalla pratica dello sci ai rischi che la neve può provocare – si tornerà successivamente.