Pubblichiamo un editoriale redatto liberamente a cura del Colonnello dell’Aeronautica Militare Paolo Ernani (meteorologo).
I terremoti si verificano in genere a profondità variabili della crosta terrestre. Si manifestano quando due placche tettoniche (le più importanti sono circa una ventina) vengono a contatto tra loro con movimenti di natura o divergenti o convergenti o trasversali. Col passar del tempo, a causa del reciproco accostamento, si accumula e resta imbrigliata una spaventosa forza di attrito.
La nostra tesi è che la contrazione e dilatazione del campo magnetico terrestre, causata dal vento solare, eserciterebbe un qualche stimolo in profondità sulle forze di bilanciamento preesistenti all’interno della crosta terrestre e quindi sulle placche tettoniche medesime per cui la conseguente interferenza sulle forze legate ai sommovimenti tellurici stessi provocherebbe nel contempo dell’instabilità interna, causa di possibili nuovi moti tellurici più o meno catastrofici.
Nell’istante in cui le due placche slittano l’una sull’altra, immediatamente viene liberata una enorme quantità di energia sotto forma di onda elastica che imprime fortissime vibrazioni alle particelle degli strati rocciosi che ne sono attraversati. Il punto di arrivo in superficie di questa onda non è altro che l’epicentro del sisma. Nel caso in cui l’epicentro si trovi sul fondo degli oceani, l’onda sismica dopo aver attraversato tutto lo strato liquido del mare, arriva in superficie sollevando notevoli estensioni di acqua provocando nel contempo onde marine di considerevole altezza (sono gli Tsunami che in particolari condizioni geodinamiche possono dar luogo ad onde anche superiori ai 10 metri).
Si può affermare quindi che quasi tutta l’energia emessa dal sisma viene smorzata, attenuata proprio dal lavoro di sollevamento della massa marina stessa. Quando però l’onda d’urto arriva in superficie ed immediatamente sopra di essa trova non l’acqua ma l’aria, l’atmosfera, cosa accade?
La pressione atmosferica è costretta a subire, durante e dopo l’evento, delle variazioni di intensità negative non indifferenti. L’onda sismica, infatti, una volta giunta a livello del suolo viene a contatto con l’aria sovrastante e inizia a comprimere i primi strati dell’atmosfera dal basso verso l’alto provocando così un vuoto d’aria sottostante o meglio ancora un’area di bassa pressione con conseguente richiamo di correnti dall’estrema periferia al centro della bassa pressione.
Qui le correnti vengono risucchiate verso l’alto e se l’aria è sufficientemente umida si formeranno annuvolamenti, temporali, piogge ma soprattutto temperature in discesa tanto più marcate quanto più forte è l’onda sismica che giunge in superficie. Se poi, prima dell’evento, sul luogo dell’ipotetico epicentro già preesisteva una zona di bassa pressione, tutta la fenomenologia ne verrebbe fortemente esaltata. Nel caso di terremoti molto forti poi si potrebbe addirittura verificare anche la possibilità che si modifichi la normale traiettoria di moto delle correnti meteorologiche perturbate che magari viaggiano a centinaia di chilometri di distanza dall’ epicentro.
In definitiva riferendoci a questa ultima situazione anche i terremoti contribuirebbero, sebbene in forma non predominante, a far diminuire la temperatura e a determinare una fenomenologia più o meno intensa sul luogo dove il sisma si è manifestato. Fateci caso quando una località viene colpita da un terremoto particolarmente violento, dopo qualche giorno le condizioni meteorologiche peggiorano (non sempre ovviamente e ciò dipende sia dalla minore o maggiore intensità del campo delle pressione sita sull’area in questione che dalla profondità dell’ipocentro, responsabile primaria dell’intensità stessa del terremoto).
Col. Paolo Ernani meteorologo