Un team di ricercatori provenienti dall’Università di Malaga (UMA) e Consiglio Superiore della Ricerca Scientifica (IRNAS – CSIC), ha esaminato più di una trentina di lavori scientifici internazionali pubblicati a partire da gennaio 2020 sull’effetto della variazione climatica (principalmente temperatura e umidità) nella diffusione e nell’incidenza del nuovo coronavirus (SARS CoV-2).
I risultati sono pubblicati sulla rivista Geographical Investigations (a cura dell’Istituto interuniversitario di geografia) e indicizzati su Web of Science: ESCI; Scopus.
Gli autori dello studio sono giunti alla conclusione che non v’è alcuna solida prova scientifica che possa portarci a sostenere che l’aumento delle temperature durante l’Estate possa contribuire a limitare la progressione della pandemia dovuta come ben sappiamo al SARS CoV–2.
Il lavoro, condotto dal professor Oliver Gutiérrez Hernández (del Dipartimento di geografia, Università di Malaga), indica che la maggior parte degli studi indica una certa influenza del tempo atmosferico e/o del clima sulla distribuzione e sui progressi del COVID-19.
In particolare, condizioni di fresco e asciutto nel contesto di un clima mesotermico sembrerebbero le più adatte per l’ espansione della SARS CoV–2.
Tuttavia, una significativa percentuale degli studi scientifici recensiti che concludono che v’è una significativa influenza di una o più climatiche variabili sull’incidenza della malattia associata al nuovo coronavirus hanno significativi metodologiche carenze che mettono in dubbio la validità dei risultati.
Alcuni giungono a questa conclusione senza considerare l’effetto di altri fattori importanti, come quelli legati alla mobilità della popolazione, alla densità o alla connettività geografica in un contesto socioeconomico globalizzato.
“Supponendo che il tempo e il clima influenzino in qualche modo la distribuzione del nuovo coronavirus, gran parte della ricerca effettuata suggerisce questo effetto sulla base di principi imprecisi, un quadro di analisi incompleto, metodi inadeguati e persino, in qualche caso, conclusioni contraddittorie secondo i risultati ottenuti”, sostengono.
Il fatto che in condizioni controllate sia stato dimostrato che il SARS-CoV 2 è sensibile alle temperature raggiunte durante le i periodi più caldi non vuol dire che ciò debba necessariamente avere un’influenza sostanziale nella progressione della malattia nell’uomo.