«La vite è più forte del clima impazzito»: così Giuseppe Martelli, direttore generale di Assoenologi. L’organizzazione di settore guarda con apprensione alla prossima vendemmia, che si preannuncia come «la seconda più scarsa dal 1950, con 41,2 milioni di ettolitri (all’epoca furono 41 milioni: ndr)». E pensare che quella 2012 «poteva essere memorabile – prosegue Martelli – perché i rilievi di maggio erano promettenti». Gli anticicloni africani però, hanno bruciato le speranze: «Eravamo abituati a prendercela con l’anticiclone delle Azzorre, ma quest’anno abbiamo dovuto fare i conti con sette disperati fenomeni dai nomi più bizzarri. Ora speriamo in un po’ di sollievo, con temperature nella norma, adeguate precipitazioni e ampie escursioni giornaliere, così da stabilire le migliori condizioni per una vendemmia dai toni alti». Gli eccessi climatici hanno diviso l’Italia: «Quella centro settentrionale, Lazio compreso, fa registrare livelli produttivi inferiori al 2011, con decrementi del 5-15%, mentre il Centro Meridione oscilla fra 0-10% in più».
Il problema, che riguarda ogni comparto agricolo, è tuttavia sempre stato all’attenzione degli enologi, così come la coltura della vite ha dato molto alla ricostruzione del clima europeo. Lo storico Emmanuel Le Roy Ladurie ha aperto la strada a questa branca degli studi fenologici, grazie alle date delle vendemmie, risalenti al XV secolo, conservate in molte regioni francesi e svizzere. D’altro canto, proprio al 67º Congresso nazionale Assoenologi, svoltosi il 3-7 giugno, il cambiamento climatico è stato oggetto di approfondimento da parte di alcuni esperti; tra loro, Luigi Mariani, docente di agrometeorologia all’Università di Milano, il quale precisa come il fenomeno del riscaldamento su scala emisferica sia iniziato a metà del XIX secolo, con la conclusione della Piccola età glaciale; riscaldamento che ha registrato una curva di discontinuità nel 1987, conducendo a valori termici probabilmente in linea con quelli che l’Europa aveva sperimentato, l’ultima volta, nell’alto Medioevo. Attraverso due carte bariche, Mariani mostra quale ne sia stata la dinamica:
Alla quota di 850 hPa, nel periodo marzo – agosto 1968-’87 si può notare come l’isoipsa 149 dam tagli l’Emilia Romagna e la Valpadana a sud del Po, mentre nel periodo marzo – agosto 1988-2003 la stessa si ritrovi quasi sulla Germania centrale, con una netto cambio di ruolo dell’anticlone delle Azzorre:
Mettendo dunque a confronto le temperature medie di marzo – agosto in alcune località svizzere, si notano le seguenti differenze (fonte: MeteoSvizzera):
Lugano media 1968-1987: 15,2 °C; media 1988-2003: 16,7 °C
Säntis media 1968-1987: -0,4 °C; media 1988-2003: 1,4 °C
Zurigo media 1968-1987: 12,2 °C; media 1988-2003: 13,6 °C
Il periodo marzo – agosto è cruciale per lo sviluppo e la maturazione delle uve e, come detto, si presta a letture interdipendenti: possedendo i dati termometrici, è possibile capire come possano essere andate le vendemmie; al contrario, disponendo delle date di queste ultime, si può dedurre quale sia stato il decorso stagionale. La questione si pone in questi termini: «Anche se l’anticipo o il ritardo della prima fioritura dipende soprattutto dalla temperatura di maggio, una fioritura precoce può fare seguito anche ad un aprile molto caldo […] I tempi della piena fioritura e dell’ultima fioritura variano a seconda delle temperature dei mesi di maggio e di giugno. […] Quindi se le prove indicano che la fioritura della vite terminò nella prima metà di giugno, l’anticipo della vendemmia dovrebbe essere accreditato soprattutto alla tiepida temperatura primaverile» [Pfister, p. 114].
Una solida correlazione fra vite e andamento del clima si ebbe nel 1949, con la scoperta della Sägesignatur (firma a denti di sega): un curioso andamento nella crescita degli anelli meristematici della quercia nella Germania meridionale, datato 1530-’41. «Molto interessante è il fatto che questa configurazione […] si ritrovi riprodotta esattamente sui grafici relativi alle date delle vendemmie nei vigneti francesi più vicini […], cioè quelli del Giura, delle Alpi svizzere e del Mezzogiorno. I larghi anelli di crescita del 1531, 1533, 1535 e 1537 corrispondono ad anni in cui la vendemmia avvenne in ritardo nel Giura, sintomo di primavere ed estati fredde, probabilmente anche umide. Gli anelli stretti del 1532, 1534, 1536, 1538 e 1540 corrispondono a vendemmie precoci che riflettono condizioni del tempo caldo e abbastanza asciutto a primavera e soprattutto d’estate» [Le Roy Ladurie, p. 46].
Ma perché la vite, come indicatore, è così importante per la ricerca climatologica? «La pianta è sempre la stessa per 20 e fino a 50 anni. Non presenta – dal punto di vista della registrazione dei fatti climatici – i limiti di una pianta annuale; perché i grappoli giungano a maturazione è necessaria l’intera stagione propizia alla crescita, cioè da marzo / aprile a ottobre; la data dell’inizio della vendemmia, la produzione annua e la qualità del vino, possono essere utilizzate come prove climatiche vicarianti di tre diversi periodi della stagione propizia alla crescita: rispettivamente tarda primavera / inizio dell’estate; metà estate; tarda estate / inizio dell’autunno» [Pfister, p. 123].
Anche la qualità e la quantità del vino, dunque, rappresentano frontiere in cui si è avventurata la ricostruzione storica del clima, giungendo a conclusioni (provvisorie) sorprendenti: «Sembrerebbe che il maggiore spostamento verso temperature estive più fresche, associato con l’inizio della piccola età glaciale, si sia determinato dapprima nella tarda estate, tra 1554 e 1559, successivamente agli inizi di estate nel 1563. È evidente che lo spostamento di valori nella temperatura di media-estate è avvenuto in due riprese, la prima intorno al 1560, la seconda, con uno spostamento più deciso, nel 1585» [Bell, pp. 313-315].