Il gruppo di studio ha focalizzato l’analisi sull’importanza che esercitano i crinali nel modificare la circolazione oceanica e la scoperta potrebbe rivelarsi di fondamentale importanza nel migliorare le proiezioni sui cambiamenti climatici a lungo termine.
Dalla lettura dello studio si evince che un crinale subacqueo può trattenere il flusso di acqua fredda e quindi più densa sul fondo dell’oceano. Senza il crinale, le acque profonde fluirebbero liberamente accelerando la circolazione oceanica. Crescerebbe, così, il flusso di acqua calda in superficie. E’ ampiamente risaputo che una corrente più calda superficiale rende estremamente difficile la formazione del ghiaccio marino. La parte di energia solare che non viene assorbita dal ghiaccio viene immagazzinata dalle acque superficiali e il meccanismo di riscaldamento si amplifica.
Per poter modellare scenari simili all’attuale, gli scienziati hanno analizzato un periodo relativo a 3 milioni di anni fa, ovvero la fase centrale del Pliocene. La più calda. L’analisi s’è soffermata sull’influenza del cosiddetto “North Atlantic Ocean’s Groenlandia-Scozia Ridge” sulla temperatura della superficie dell’acqua.
“La temperatura delle acque superficiali nel Nord Atlantico e nell’Oceano Artico sono state molto più calde durante la fase centrale del Pliocene di quanto lo siano oggi, ma i modelli climatici finora utilizzati non sono stati in grado di comprendere appieno e spiegare la causa del riscaldamento”, sostiene Marci Robinson (uno dei principali autori della ricerca). “Il nostro studio suggerisce che in quel periodo una altezza inferiore del crinale che si erge nella porzione oceanica che va dalla Groenlandia alla Scozia, contribuì all’aumento del trasporto di calore verso i poli”.
“E’ la prima volta in assoluto che si è stabilito quale è stato l’impatto di un crinale subacqueo del Nord Atlantico sul sistema” prosegue Robinson. “La comprensione di questo meccanismo permette di stilare previsioni più accurate su fattori imprescindibili quali la temperatura dell’oceano e le variazioni di volume del ghiaccio”.
La ricerca è stata effettuata considerando il Pliocene perché è il più recente intervallo geologico durante il quale la temperatura globale raggiunse e mantenne livelli simili a quelli previsti per il 21° Secolo. Evidente, pertanto, che lo studio potrebbe servire come incentivo ad una previsione più dettagliata sui cambiamenti climatici in atto. Per chi volesseapprofondire l’argomento, l’articolo è stato pubblicato nella rivista Palaeogeography, Palaeoclimatology, Palaeoecology e può essere consultato on-line.