Il problema della conservazione e della protezione delle immense selve pluviali è da tempo ben noto a tutti. Infatti si sente sempre più spesso parlare di “sviluppo sostenibile” o di “protocollo di Kyoto”, ma ci siamo mai chiesti realmente quali siano i vantaggi che sarebbero in grado di assicurare se applicati a dovere? Bene, iniziamo col dire che, soprattutto nell’ultimo decennio, il problema della protezione dell’ambiente è stato prima rilevato e successivamente “regolamentato” dalle cosiddette “grandi potenze” su scala mondiale, attraverso la stesura del suddetto protocollo d’intesa. Tralasciando le implicazioni politiche, sociali ed economiche che inevitabilmente scaturiscono in dibattiti di questo tipo, preme sottolineare che ancora tanto deve e dovrà esser fatto se realmente ci si vuole impegnare a porre rimedio alla crescita incontrollata del livello d’inquinanti in atmosfera limitando così i mutamenti climatici da tutti tanto reclamizzati.
Ma quale ruolo realmente ricoprono le enormi distese verdi tropicali all’interno di un discorso molto più ampio quale appunto i profondi cambiamenti atmosferici che da tempo balzano agli occhi di tutti? Innanzitutto la superficie che esse occupano o meglio, che occupavano, secondo stime risalenti ai primi anni novanta, era di circa mille milioni di ettari, distribuiti tra l’Amazzonia, Africa equatoriale, Arcipelago malese e Madagascar orientale. Attualmente non è possibile determinarla con esattezza per via della continua ed inesorabile opera dell’uomo che, per ragioni di varia natura (principalmente per ottenere suoli da coltivare o da destinare all’allevamento del bestiame), asporta quasi giornalmente un ettaro di verde dalle suddette zone, senza peraltro sapere che un suolo di quel tipo, privato della secolare copertura vegetale, risulterà sterile ed inadatto a qualsiasi tipo di utilizzo diverso da quello per il quale era stato concepito. Purtroppo, il grande problema è legato al fatto che tali superfici risultano ubicate in paesi in via di sviluppo, dove sia il legname che la terra sono visti come una risorsa di sopravvivenza di imprescindibile importanza. Ed è proprio su questo punto che dovrebbero maggiormente concentrarsi gli sforzi dei paesi cosiddetti “industrializzati”, ossia nel cercare di applicare il già menzionato “sviluppo sostenibile”, col quale si intende l’utilizzo delle risorse che ci vengono fornite da madre natura in maniera tale che ne possano usufruire anche le generazioni future. Il concetto potrebbe sembrare apparentemente di difficile applicabilità, ma esistono i mezzi e le possibilità perché ciò possa essere posto in opera senza ricorrere a delle spese esorbitanti.
Senza addentrarci nei particolari, che ci porterebbero in un vero e proprio “campo minato”, concentriamoci su quello che le foreste sono in grado di assicurare se utilizzate con la dovuta parsimonia. Il termine “polmone verde” è sicuramente noto ai più ma il reale significato forse non è poi così chiaro. Assieme agli oceani, le distese forestate possono essere considerate a tutti gli effetti come dei veri e propri motori termici. Le masse d’aria che vi scorrono al disopra, ad esempio, immagazzinando grosse quantità di vapore acqueo traspirato dalle stesse piante, generano importanti precipitazioni che, nelle regioni dove la radiazione solare risulta la più elevata nel corso di tutto l’anno (Equatore), assumono carattere giornaliero.
L’effetto che maggiormente dovrebbe spingerci a considerarle come una ricchezza di inestimabile valore, è la capacità che hanno di catturare grosse quantità di anidride carbonica e, attraverso un complesso processo biochimico noto come “fotosintesi clorofilliana”, rilasciare altrettante quantità di ossigeno nell’atmosfera. Anche per tutti coloro i quali non avessero dimestichezza in materia, appare evidente come il tanto temuto fenomeno dell’effetto serra potrebbe certamente risultare notevolmente limitato con la sola protezione dei grandi polmoni verdi che tuttora ricoprono un enorme superficie non soltanto delle regioni tropicali ed equatoriali.
Da sottolineare come nel protocollo di Kyoto sia definita senza equivoci di sorta l’importanza dell’incremento delle grandi distese verdi, oltre alla salvaguardia di quelle già esistenti, nella riduzione degli inquinanti riversati giornalmente in atmosfera. Questo è uno degli innumerevoli punti sui quali si cerca un’intesa per il prossimo futuro. Ed è proprio con la parola “intesa” che intendo concludere questo breve reportage sui possibili cambiamenti climatici associati all’adeguato sfruttamento delle ricchezze naturali. Ciò perché ogni problema si potrà risolvere se solo la comunione d’intenti sarà perseguita a tutti i livelli su scala globale. E come si dice, chi ha orecchie per intendere intenda!