I dati, raccolti per più di 30 anni sul Monsone indiano, mostrano che l’umidità delle terre raggiunte dalle tempeste oceaniche è il maggiore indicatore delle tempeste che vi si svilupperanno. Se il suolo è umido, la tempesta può rinvigorirsi, invece se essa incontra terreni secchi tende ad affievolirsi e calmarsi.
Secondo Dev Niyogi, climatologo dell’Indiana State e professore associato di Agronomia e Scienze della terra e dell’atmosfera, quando una tempesta arriva sulla terra, non è facile capire con chiarezza se ritarderà, o si svilupperà velocemente o giungerà al termine. Con i loro studi, Niyogi e il suo team hanno scoperto che quando una tempesta arriva sino alle terre molto intensa, o causa piogge violente, può dipendere dalle condizioni delle terre che tocca durante il suo passaggio. Questo fattore non era stato ancora considerato, ma si sta rivelando un fattore molto importante. Principalmente queste tempeste erano state analizzate ponendo una maggiore attenzione sulle condizioni dell’oceano o dell’atmosfera superiore.
Il professor Niyogi evidenzia che le tempeste tropicali accrescono la loro potenza, alimentandosi con l’evaporazione delle acque calde degli oceani. Analogamente si è pensato che lo stesso fenomeno si ripresenti sopra le terre, grazie all’umidità che si solleva dal suolo. In questo modo la tempesta avrà più umidità e più energia disponibili, più su un terreno umido che su uno più secco.
I dati sulle tempeste, fatti girare su un modello, hanno mostrato che i più alti livelli umidità al suolo possono rinvigorire e sostenere anche la depressione del Monsone indiano. La previsione del modello è stata verificata comparando le condizioni al suolo, durante 125 monsoni in 33 anni, ovvero quando le tempeste hanno raggiunto terre umide.
Conoscere come una tempesta si rinvigorisce e si evolve, potrebbe migliorare le previsioni sulle alluvioni e sui danni nell’entroterra, prima che un monsone o un uragano tocchi terra. “Pensiamo che la fisica sia tale che potremmo vedere dei risultati simili, anche negli Stati Uniti,” ha detto Niyogi.
La ricerca è finanziata dalla National Science Foundation e dalla NASA Oltre al team di Niyogi, della Purdue University, partecipano allo studio ricercatori del National Center for Atmospheric Research, del NASA-GSFC/ESSIC, dell’ University of Georgia, dell’Indian Space Research Organization e dell’ Indian Institute of Technology Delhi.
Il prossimo passo sarà portare avanti simulazioni modellistiche, inserendo dati di umidità al suolo, per testare queste teorie anche sugli uragani negli Stati Uniti, visto che sino ad ora si sono ottenuti ottimi risultati legati al Monsone indiano.
Partire da una teoria e applicarla, testandola in diverse condizioni, è il passo che viene sempre seguito dai ricercatori, ma a volte i dati teorici non vengono avallati dai dati sperimentali. Attendiamo quindi i risultati dei prossimi studi, per sapere se la teoria di Niyogi verrà confermata.