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Gli scenari IPCC sono realistici?

di Francesco Aliprandi
12 Giu 2008 - 14:11
in Senza categoria
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Prima immagine: andamento delle emissioni cumulative di origine antropica misurate in miliardi di tonnellate di Carbonio. Seconda immagine: andamento delle emissioni annue di diossido di carbonio misurate in miliardi di tonnellate di Carbonio all'anno. Clickare sulle immagini per ingrandirle.
gli scenari ipcc sono realistici 12316 1 2 - Gli scenari IPCC sono realistici?
Negli ultimi anni il dibattito sul cambiamento climatico ha iniziato a coinvolgere non solo ricercatori e specialisti ma anche politici e persone comuni. Gran parte della discussione verte sulla responsabilità dell’uomo e su quali misure adottare per limitare gli effetti di un possibile futuro innalzamento delle temperature. Il principale imputato è l’aumento indiscriminato delle emissioni di diossido di carbonio, una molecola che sebbene presente in piccole quantità nell’aria che respiriamo è in grado di assorbire la radiazione infrarossa causando il ben noto effetto serra.
Il peso relativo che avrebbe la CO2 nell’aumento delle temperature registrato a partire dal 1850 circa – oltre alla reale entità dell’assorbimento – è oggetto di vivaci scambi di opinioni, soprattutto alla luce degli scenari che l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) ha emesso nel suo ultimo rapporto e delle decisioni che dovrebbero essere prese in base ad esso.

L’IPCC in base ai modelli climatici disponibili ha simulato quattro famiglie di scenari, ciascuna caratterizzata da ipotesi diverse sul consumo di energia, di cibo pro capite e di risorse, sulla crescita del PIL e della popolazione e sullo sviluppo tecnologico. I risultati credo siano noti a tutti: la temperatura è destinata ad aumentare e per il 2100 si prospettano da 1.8 a 3.6°C in più rispetto ad oggi. Una parte consistente di questa crescita è dovuta all’apporto antropico di diossido di carbonio derivante dalla combustione di petrolio, carbone e gas naturale.
Quasi nessuno però sembra essersi chiesto se le quantità di combustibili che verrebbero bruciate nei vari scenari esistano davvero nel sottosuolo: le ipotesi sono quelle del Business As Usual (BAU), che estrapolano la tendenza all’aumento dei consumi degli ultimi anni e vedono al massimo una riduzione volontaria nell’utilizzo di certe risorse inquinanti, ma nessuna loro limitazione fisica. In realtà le cose non stanno esattamente così.

Come tutte le risorse naturali non rinnovabili – almeno su scala temporale umana – i combustibili fossili sono destinati ad esaurirsi prima o poi. Il loro andamento estrattivo segue tipicamente una curva che ricorda una gaussiana, e viene detta curva di Hubbert in onore del geofisico statunitense che per primo l’ha applicata studiando la produzione petrolifera negli USA. Applicando un modello relativamente semplice e avendo a disposizione dati precisi, Hubbert fu in grado di prevedere il picco produttivo del greggio con 15 anni di anticipo sul suo effettivo verificarsi.
Le stime sulla produzione globale sono più difficili poiché entrano in gioco fattori geopolitici – gli shock petroliferi degli anni ’70 e ’80 e la dissoluzione dell’ex URSS, ad esempio – e una incertezza maggiore sulla bontà delle cifre indicanti le riserve. Tuttavia l’associazione per lo studio del picco del petrolio e del gas naturale (ASPO) stima che già nel giro di due o tre anni la produzione mondiale – attualmente inchiodata sugli 85 milioni di barili al giorno dal 2005 – possa iniziare lentamente a calare; sui dati riguardanti il gas naturale si hanno più dubbi, ma si presume che la produzione potrà aumentare ancora per pochi anni.

Rimane il problema della fonte maggiormente inquinante, non solo per le emissioni di CO2: il carbone, le cui riserve – stando ai report delle agenzie internazionali che si occupano di energia – sarebbero sufficienti ai ritmi attuali di consumo per oltre 100 anni. Analizzando però dettagliatamente i dati per i 6 paesi che detengono l’85% di tali riserve si osserva che in realtà la produzione ha già raggiunto in diverse regioni un massimo, e a livello globale è possibile che il picco sia distante un paio di decenni. Si tratta di una buona e cattiva notizia allo stesso tempo.

Nel 2007 Kharecha e Hansen hanno presentato uno studio che integra le informazioni derivanti dalla teoria del picco con un modello per il calcolo delle emissioni di diossido di carbonio, sviluppando in modo analogo all’IPCC una serie di scenari che vanno dal BAU alla riduzione volontaria nell’uso di carbone, fino alla possibilità che le riserve di combustibili fossili siano sovrastimate. I risultati vedono una concentrazione massima di CO2 atmosferica negli anni futuri pari a 450/460 ppm tranne in un caso particolare, quello che pone un picco del carbone verso il 2070 e un suo utilizzo sempre più massiccio man mano che petrolio e gas naturale vengono a mancare. Se si paragonano le emissioni di Carbonio previste al 2100 si devono registrare differenze enormi: secondo l’IPCC sarebbe possibile superare le 35 Gt(C)/anno, mentre gli scenari di Kharecha e Hansen non arrivano a 10 anche nel caso peggiore, fermandosi al di sotto delle 2 Gt(C)/anno in ben 4 casi su 5.

Ragionando in modo analogo, Kjell Aleklett – presidente dell’ASPO International – ha valutato il contenuto energetico delle riserve di idrocarburi confrontandolo con quello che sarebbe necessario per realizzare gli scenari più pessimistici dell’IPCC: il risultato, anche tenendo conto delle stime più ottimistiche sulla quantità di combustibili fossili estraibile, mostra che dovremmo sfruttare il doppio delle riserve note. Inoltre va osservato che non è plausibile un andamento estrattivo continuamente crescente o costante fino all’esaurimento totale di una materia prima: ciò significa che gli scenari peggiori dell’IPCC necessiterebbero di quantità ancora superiori di idrocarburi per poter dare luogo ad un aumento delle emissioni di CO2 fino al 2100 come indicato nel rapporto.

Naturalmente non dobbiamo buttare via il bambino con l’acqua sporca – come si usa dire – e ignorare completamente il lavoro svolto dall’IPCC; però abbiamo sicuramente bisogno di proiezioni che tengano conto dei limiti esistenti sulle quantità di combustibili fossili veramente estraibili se vogliamo prendere decisioni sensate.
La cosa peggiore che potrebbe accadere consiste in uno spostamento dei consumi da petrolio e gas naturale al carbone (che tramite processi chimici è trasformabile in combustibili liquidi) all’esaurirsi progressivo dei primi due. Riusciremo a resistere alla facile tentazione di affidarci a soluzioni temporanee e dagli effetti probabilmente nefasti per l’ambiente? Dalla risposta che daremo dipende il nostro futuro e quello delle generazioni che verranno dopo di noi.

Riferimenti essenziali
L’articolo di Kharecha e Hansen “Implications of “peak oil” for atmospheric CO2 and climate” (in pdf):
https://arxiv.org/pdf/0704.2782v3
L’articolo di Kjell Aleklett:
https://www.onlineopinion.com.au/view.asp?article=5933&page=0

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