Sto salendo lungo i tornanti che mi porteranno a Capracotta, ultimo avamposto abitato dentro questo mondo bianco. Bianco da tutte le parti perché dove giri gli occhi non c’è altro che bianco e poi bianco ed ancora bianco. Salgo lungo queste rampe ingabbiato da un muro di neve a destra e sinistra mentre le nuvole mi avvolgono completamente. La musica degli Eagles mi ricorda l’estate trascorsa al mare e, complice anche l’orario, le cene da Alvaro. La sora Cesira è un abile cuoca, ricordo le sue fettuccine ai funghi porcini, il timballo con la besciamella, le patate al forno con il pollo, il tutto affogato nel solito vinello rosso che Alvaro si fa con le sue uve. Sono quasi le 13, la fame bussa al mio stomaco con sordi gorgoglii che la dicono lunga sulla possibilità di trovare un posto dove cibarsi. Le curve sembrano non finire mai, la neve anche, finché su un tornante lo sguardo, che riesce a vedere a malapena oltre i 5 metri, viene catturato da un segnale stradale.
“Ah… ecco un luogo dove sicuramente mangiare qualcosa di caldo”.
Ma avvicinandomi la situazione s’ingarbuglia, è vero che c’è l’indicazione del paese ma la direzione desta qualche dubbio. Leggo il nome della contrada e lì la mente va in tilt. La nebbia circostante non ti regala punti di riferimento. Leggo nuovamente il cartello, guardo l’indicazione ed ormai preso da un vistoso calo di zuccheri m’inginocchio per trovare il punto dove passare.
“Forse ci sarà un botola, una scala, un ascensore, insomma qualcosa che mi porti fino a questo paese. La lucidità comincia ad essere sempre meno presente. Gli arti inferiori cominciano ad esser preda dei primi sintomi di congelamento. Sono sempre inginocchiato, le mani frugano nella neve e tastano il terreno alla ricerca di non si sa più che cosa eppure l’indicazione è chiara. Il rumore di un motore di un trattore che si avvicina mi riporta alla realtà. Rimango immobile per vedere meglio da dove sbucherà. Sento il motore che va al minimo ed una voce che esclama:
“Salve, serve una mano?”
Mi accorgo di essere in ginocchio davanti ad un uomo che mi guarda dall’alto del suo trattore come se avesse visto un alieno.
“Ho visto il cartello” rispondo “e cercavo di arrivare al paese ma non trovo la botola per scendere…” L’uomo mi guarda in modo strano ed avverto un senso di disagio nei miei confronti come se stesse parlando con un matto che cerca da mangiare sotto terra. L’avevo visto scendere mezzo sorridente dal trattore ma dopo le mia parole comincia ad arretrare e noto che risale molto lentamente sul trattore con fare circospetto come se volesse scappare da questo manicomio con le pareti bianche. Innesta la marcia, mi guarda e spinto forse da un senso di compassione per questo povero essere umano in preda ad una disconnessione neuronale mi urla in dialetto di proseguire ed arrivare a Capracotta che dista poche centinaia di metri. Lì sicuramente troverò qualcosa. Accetto il consiglio ringraziandolo. Mi rialzo ma appena mi vede in posizione eretta viene colto da un raptus degno del miglior Schumaker e cerca di scappare dalla vista di questo povero scemo che cerca una botola nel terreno sotto la neve. Accelera e facendo impennare il trattore, sgomma lasciando una scia di fumo e scompare nella fitta nebbia.
Riparto anch’io e giungo finalmente alla meta ma di negozi aperti neanche l’ombra: primo perché non c’è sole e poi perché sono tutti sotto 2 metri di neve. Giro per quelle vie come l’ultimo sopravvissuto. Ho la sensazione che lupi ed orsi bianchi mi seguano avendomi scambiato come cavia per la loro ricerca del mangiare. Ad un tratto vedo apparire da dietro un muro di neve una persona che attraversa di corsa. Inchiodo, scendo dall’auto, la chiamo incamminandomi verso lei ma questa improvvisamente scompare e mi ritrovo da solo. Attorno a me nebbia e neve, sembra un film di Hitchcok, ci manca solamente un tetro sottofondo musicale. Spunta un cane da chissà dove ma fa finta di non vedermi e scompare dietro un cassonetto dell’immondizia. Anche a lui non gliene frega niente di me. Sono di nuovo solo in questo mondo bianco latte. Mi accendo una sigaretta, mi rialzo il bavero come faceva Humphrey Bogart. A casa non mi aspetta Ingrid Bergam ma la mia dolce metà. Mi attacco al cellulare e le ordino un bel piatto di spaghetti e una braciolina ai ferri con una montagna di patatine fritte, il tutto pronto fra un paio d’ore. Mi riavvio verso l’auto, la neve scricchiola sinistra sotto i miei piedi mentre il mio stomaco gorgoglia destrorso per la fame. Un connubio musicale non proprio degno di Casablanca….ma sì! Suonala ancora Sam…