«Si hanno notizie da Galveston?». Il laconico telegramma, datato 9 settembre 1900, è di Willis L. Moore, capo dell’U.S. Weather Bureau, dopo il passaggio di quello che è stato definito il più terribile uragano della storia.
Nei giorni in cui, davanti alla tragedia di New Orleans, si torna a parlare di un’atmosfera sempre più violenta a causa del presunto effetto serra, la storia mostra come certi eventi non siano una novità.
La città di Galveston, nel Texas, l’8 settembre 1900 fu spazzata da un tifone che, nel giro di tre ore, fece precipitare la pressione barometrica di 40 mm, provocando venti che, al momento in cui l’anemometro della stazione meteorologica venne strappato, soffiavano a oltre 180 km/h ma, secondo le ricostruzioni, tra le 17.15 e le 19 rimasero costantemente superiori ai 215 km/h; è stato calcolato inoltre che, nell’occhio del ciclone, la velocità abbia toccato i 360 km/h, producendo una pressione di 30 tonnellate sui muri delle case.
Penetrato dal Golfo del Messico dopo aver devastato le isole caraibiche e “incattivito” da un percorso di circa 1.300 chilometri in acque libere, la spinta del tifone di Galveston innalzò il mare di almeno cinque metri, provocando l’inondazione della città.
Al telegramma del capo dell’U.S Weather Bureau rispose il direttore della Wester Union di Houston, scrivendo che «le prime notizie giunte da un treno che non ha potuto avvicinarsi più di una decina di chilometri dalla baia di Galveston comunicano che grandi navi erano incagliate fino a quattro chilometri all’interno della costa».
Nelle settimane successive sul Post, un quotidiano della stessa Houston, si sviluppò una polemica circa l’operato dell’U.S. Weather Bureau di Washington, che non era stato in grado di prevedere la traiettoria dell’uragano, onde permettere l’evacuazione della popolazione.
Non solo: a parere dei meteorologi, nel suo viaggio all’interno del continente, il tifone avrebbe perso forza, mentre la realtà fu che imperversò nell’Oklaoma e risalì fino a Chicago e Buffalo. Nessuno seppe mai dire con esattezza quante fossero le vittime: certamente più di 6.000, forse 10.000 nella sola Galveston, più alcune migliaia nelle località vicine.
In ogni caso, a quell’epoca il tifone di Galveston fu catalogato come la peggior calamità naturale nella storia degli Stati Uniti e i morti furono almeno il triplo di quelli dell’inondazione di Johnstown (Pennsylvania) del 1889. Il capo dell’U.S. Weather Bureau scrisse: «I cittadini di Galveston dovrebbero rincuorarsi perché è probabile che nei prossimi mille anni la loro città non sarà più così crudelmente colpita». Fu smentito nel 1915, e poi per altre otto volte fino al 1983; nel 1961 l’uragano Carla provocò l’evacuazione di 250 mila abitanti di Galveston e delle località circostanti e distrusse 120 edifici in una ventina di isolati.
Bibliografia:
E. Larson, Il tifone di Galveston, Milano, 2001.